domenica 26 febbraio 2012

Happy Birthday Man In Black!



I'm not bitter. Why should I be bitter? I'm thrilled to death with life. Life is — the way God has given it to me was just a platter — a golden platter of life laid out there for me. It's been beautiful.
(Johnny Cash)





giovedì 23 febbraio 2012

Sit-Rock: Live act - And the winner is....


Ciao a tutti!

Scusate la latitanza di questi giorni ma sono stato davvero presissimo....

Bene, il sondaggio è chiuso e finalmente abbiamo un vincitore della Sit-Rock dedicata alla musica live.... E' stata una bella lotta, le liste erano veramente molto interessanti, ma alla fine uno solo l'ha spuntata.... Senza troppi fronzoli, sono felice di annunciare che il vincitore è Blackswan! Complimenti bro!

E per chi se la fosse persa, ecco qui sotto la lista vincente! Io non so voi ma pagherei uno sproposito per vedere un concerto così.... ^_^

1. Deep Purple - Highway star (Made in Japan)
2. U2 - Sunday bloody sunday (Under a blood red sky)
3. The Allman Brothers Band - In memory of Elizabeth Reed (At Fillmore East)
4. Jesus Lizard - Nub (Show)
5. Genesis - The knife (Genesis live)
6. The Who - Summertime blues (Live at Leeds)
7. Bruce Springsteen - Thunder road (Live 1975-1985)
8. The Rolling Stones - Love in vain (Ger yer ya-ya’s out)
9. Nirvana - Where did you sleep last night (Unplugged in New York)
10. Neil Young - Ohio(Live at Massey Hall)
11. CSN&Y - Southern man (4 way street)
12. The Kinks - Lola (One for the road)
13. Lynyrd Skynyrd - Free bird (One more for the road)
14. Peter Gabriel - San Giacinto (Plays live)
15. Pearl Jam - Daughter (Milano, Fila Forum Arena 22/06/00)
16. Clash - Rock the casbah (Live at Shea stadium)
17. Jefferson Airplane - Somebody to love (Live at Monterey festival)
18. Bloomfield & Kooper - Dear Mr. Fantasy (Live adventures)
19. Alice in chains - Down in a hole (MTV Unplugged)
20. MC5 - Kick out the jams (Kick out the jams)

E ora un estratto dalla playlist, avevate dei dubbi su chi avessi scelto?....
Zio Neil, il pubblico è tutto tuo!




mercoledì 15 febbraio 2012

Un disco che fa bene al cuore


Vi siete dimenticati di comprare i fiori alla vostra bella per San Valentino? A portarvi qualche rosa ci pensano i Cranberries! Dopo 11 anni di silenzio tornano a farsi sentire i mirtilli di Limerick, al secolo Noel e Mike Hogan, Fergal Lawler e Dolores O'Riordan. I Cranberries mettono la parola fine a una lunghissima pausa in cui le carriere dei singoli membri si sono separate percorrendo altre strade, anche se la più attiva è sicuramente stata la carriera di Dolores, che oltre a 2 album in studio e diverse hit ha aggiunto al suo curriculum parecchie collaborazioni con artisti e gruppi soprattutto europei.

Nel 2001 usciva l'ultimo lavoro della band al completo, "Wake up and smell the coffee", album discreto e in perfetto stile Cranberries, in bilico tra pop-rock e atmosfere epicheggianti, con la splendida voce di Dolores a farla da padrone come dalla migliore tradizione del quartetto irlandese. Sono passati undici anni e poco è cambiato, nonostante gli anni passati, nonostante la carriera solista di Dolores e nonostante le derive elettroniche dai riscontri abbastanza positivi dei fratelli Hogan targate Monoband e Arkitekt, nonostante tutto il tempo sembra essersi fermato per i Cranberries nel bene e nel male, e la dimostrazione è il loro sesto album, "Roses", uscito ieri in occasione della festa degli innamorati.

Il gruppo non subisce variazioni, nè nella line-up, solida e rodata, nè nel resto della squadra, produzione compresa visto che anche in questo caso è stata affidata a Stephen Street, produttore della band dagli esordi di "Everybody Else Is Doing It, So Why Can't We?", e il risultato non può che essere un album nel più puro e limpido stile dei quattro irlandesi. Il disco, anticipato mesi fa dal singolo "Tomorrow", è stato registrato tra Londra e Toronto ed è composto da 11 brani caldi e avvolgenti, che lasciano ancora un po' nel cassetto la grinta arrogante e i temi più impegnati cari ai primi, esplosivi e trascinanti Cranberries a favore dei sentimenti, elemento cardine dell'intero album espresso come sempre in maniera eccelsa dalla voce ammaliante della O'Riordan e coronato da musiche a tratti sognanti e a tratti più cadenzate e decise che senza farsi troppi problemi prendono spunto a piene mani dal background del gruppo. Le citazioni e le somiglianze si sprecano e certamente non fa dell'originalità uno dei punti di forza di questo lavoro, anzi ne diventa forse l'unica vera pecca, ma d'altro canto era auspicabile visto che "Roses" rappresenta la reunion non dichiarata della band dopo un altrettanto non dichiarato scioglimento, perlomeno artistico.

Sono le sognanti atmosfere tipiche dell'isola di smeraldo ad accoglierci con "Conduct", start-track dal sapore celtico, dove troviamo il buon Lawler a rullare leggero sui tamburi per poi accompagnare con tempi didattici la voce della brava Dolores che passa sapientemente da frasi e parole sussurrate ai crescendo vocali a cui ci ha abituato. A seguire c'è "Tomorrow", brano fresco e decisamente poppeggiante, non a caso scelto come singolo di anticipazione del disco, con cui gli irlandesi smuovono la voglia di lasciarsi andare e di smetterla di pensare troppo e seguire qualche istinto in più, perchè "Tomorrow could be too late", "domani potrebbe essere troppo tardi". Ad abbassare i ritmi e scaldare il cuore arriva il fuoco di "Fire & soul", romanticissima ballad sussurrata su una base che riporta alla mente non troppo velatamente il passato del gruppo senza mai sforare nell'autoplagio. La successiva "Raining in my heart" si apre in acustico per poi procedere sempre più verso un sound corale e ben strutturato che concorre ad essere uno dei migliori brani dell'album e avvolge morbidamente per poi chiudersi nuovamente in acustico sul finale e lasciando addosso calde sensazioni che vengono prese al volo dal pezzo più Cranberries style di tutti; "Losing my mind" è un estratto puro e semplice del sound del gruppo, un brano che procede leggero e quasi accennato per poi salire in perfetta sintonia con la progressione vocale della O'Riordan e sfociare in un acustico e vibrante ritornello destinato ai cori più sentiti dei prossimi concerti. "Schizophrenic playboys" tiene il ritmo del brano precedente, con Dolores che ci delizia e ci affabula nuovamente con i suoi crescendo vocali per poi tornare a cantare sottovoce sulle note di "Waiting in Walthamstow", tra ammalianti ritmi da tango e una fumosa atmosfera lounge. L'ottava traccia, "Show me", personalmente la migliore in assoluto del disco, prende nuovamente ispirazione dal passato e, inutile dirlo, è tipica che più tipica non si può di Dolores e soci, musicalmente strutturata e potente e vocalmente (e c'è da ripeterlo?) eseguita in modo eccezionale. Con "Astral projection" Noel Hogan, sostenuto dall'onnipresente Lawler, fa sentire di essere un chitarrista irlandese fino nel midollo, di quelli che si esibiscono ogni sera in un affollato pub senza bisogno di potenti amplificatori e riverberi o distorsioni, ma consumandosi i polpastrelli su una chitarra acustica che diventa l'habitat perfetto della solita, bravissima Dolores per l'ennesimo ottimo brano. La sei corde di Hogan ci accompagna fino alla fine, con "So good" e "Roses", la title-track posta a chiusura dell'album, che creando soluzione di continuità ci lasciano come ci hanno accolto, tanto morbidamente che si resta ancora un po' sognanti e a stento ci si accorge che dalle prime note sono passati ormai 45 minuti.

Nella storia dei Cranberries è sempre stata evidente una assoluta dipendenza da Dolores O'Riordan, frontwoman, autrice dei brani e indiscussa leader del gruppo, grazie soprattutto ad una voce davvero difficile da mettere in secondo piano che volenti o nolenti condiziona anche l'arrangiamento dei pezzi. Tutto gira intorno a Dolores: le musiche, come le atmosfere e le diverse impronte date a questo come ai passati album variano in funzione dell'interpretazione della cantante, e questo non può che creare una certa ristrettezza rispetto a nuovi sound e sperimentazioni, cosa che anche in "Roses" è più che lampante. "Roses" è un album dei Cranberries, di quelli che riconosci lontano un chilometro, e loro stessi sono, nonostante il tempo passato, quelli di sempre. Questi sono i due aspetti contrastanti del disco, da una parte chi si aspettava nuove sonorità e arrangiamenti diversi rimarrà deluso, mentre dall'altra chi in fondo un po' se lo aspettava e sperava più che altro in un ritorno degno di avere senso sarà ben felice di infilare nello stereo questo nuovo lavoro e di farsi conquistare dall'incantevole voce di Dolores e dai sognanti paesaggi disegnati dalla band irlandese. Insomma, niente di nuovo sul fronte Cranberries, niente stravolgimenti ma nemmeno delusioni, "Roses" non è un disco di svolta, non cambierà nulla e non infiammerà le polemiche, ma una scintilla la accende, proprio dove era destinato ad accenderla, scaldando il cuore, e se non fa nulla di innovativo per la musica, certamente fa bene all'anima, in fondo è questo che conta....

Voto: 7,5

Tracklist

1. Conduct
2. Tomorrow
3. Fire & Soul
4. Raining in My Heart
5. Losing My Mind
6. Schizophrenic Playboys
7. Waiting in Walthamstow
8. Show Me The Way
9. Astral Projection
10. So Good
11. Roses

Sit-Rock: Live act - Si vota!


Ciao a tutti!

Finalmente è arrivato il momento della votazione per la nuova sfida Sit-Rock.

Questa volta si parlava di musica live e la sfida, come sempre sulla lunghezza dei 20 brani, riguardava le versioni dal vivo delle canzoni, così vi avevo chiesto di stilare una scaletta di 20 pezzi per comporre un concerto. Di liste ne sono arrivate 9 e tutte decisamente accattivanti, la scelta della lista da votare si fa quindi più ardua del solito....

Ma bando alle ciance, tra pochissimo comparirà il solito sondaggio sulla colonna di sinistra, non vi resta che scegliere la vostra preferita!

Ecco qui sotto le liste in gara, e che vinca il migliore! ^_^

Lozirion

 1. The Who - Pinball wizard (Isola di Wight live 1970)
 2. The Doors - Peace frog (New York live 1970)
 3. Mano Negra - Rebel spell (Tokyo live 1990)
 4. Alanis Morissette - You Oughta Know (New York unplugged 1999)
 5. Rolling Stones - Tumbling dice (Bruxelles live 1973)
 6. Negrita - R.J. Angelo ribelle (Monza live 2009)
 7. Dire Straits & Eric Clapton - Brothers in arms (Wembley live 1985)
 8. Mr. Big - Colorado bulldog (Train Aarhus live 2009)
 9. Johnny Cash - Ghost riders in the sky (Montreaux live 1994)
10. Black Sabbath - War pigs (Parigi live 1970)
11. PJ Harvey - Rid of me (Sidney live 2001)
12. Jethro Tull - Thick as a brick (New York live 1978)
13. Radiohead - Wolf at the door (Praga live 2009)
14. B.B. King - The thrill is gone (Montreaux live 1993)
15. Neil Young - Hey hey, my my (Champaign live 1985)
16. Litfiba - Gioconda (Colpo di coda live 1994)
17. Joss Stone - Some kind of wonderful (New York live 2010)
18. Pearl jam - Jeremy (Landgraaf live 1992)
19. Jònsi - Grow til tall (Milano live 2010)
20. Ramones - Blitzkreig bop (Londra live 1977)

Allelimo

1. Clash - Milano's Burning (Palalido, Milano, 1981)
2. Echo & The Bunnymen - Zimbo (Milano Suono, Piazza Vetra, Milano, 1982)
3. Siouxsie & The Banshees - Spellbound (Milano Suono, Piazza Vetra, Milano, 1982)
4. New Order - 586 - Temptation - Everything's Gone Green (Rolling Stone, Milano, 1982)
5. Nico - All Tomorrow's Parties (Odissea 2001, Milano, 1982)
6. Bauhaus - Bela Lugosi (Odissea 2001, 1983)
7. Diaframma - Siberia (Viridis, San Giuliano Milanese, 1984)
8. Jesus & Mary Chain - Taste of Cindy (Rolling Stone, Milano, 1987?)
9. Opal - Soul Giver (Bloom, Mezzago, 1988?)
10. Spacemen 3 - Revolution (Bloom, Mezzago, 1989)
11. Loop - Arc-lite (Bloom, Mezzago, 1989)
12. Afterhours - Plastic (Bloom, Mezzago, 1989)
13. Carnival of Fools - Summertime (Bloom, Mezzago, 1989)
14. Nick Cave - The Mercy Seat (Rolling Stone, Milano, 1989)
15. Sonic Youth - Tom Violence (Rolling Stone, Milano, 1990)
16. Nirvana - Smell like Teen Spirit (Bloom, Mezzago, 1991)
17. PJ Harvey - One Time Too Many (Palalido, Milano, 1995)
18. Mazzy Star - Fade into You (Milano, 1996, Magazzini Generali)
19. Pavement - Silence Kit (Milano, 1996, Magazzini Generali)
20. Sparklehorse - Homecoming Queen (Milano, 1996, Magazzini Generali)

Slowhand78

1. U2 - Sunday bloody Sunday (Torino 2001)
2. David Gilmour - Comfortably Numb (Roma 2006)
3. Bruce Springsteen - Bobby Jean (Milano 2003)
4. Paul McCartney - The Fool on the Hill (Roma 2003)
5. Mark Knopfler - Sultans of Swing (Lucca 2001)
6. The Rolling Stones - Sympathy for the devil (Milano 2003)
7. Fabrizio de Andrè - Anime Salve (Porto San Giorgio 1997)
8. R.E.M. - Everybody Hurts (Ancona 2003)
9. Pat Metheny Group - Last Train Home (Ascoli Piceno 2005)
10. Jethro Tull - Aqualung (Pistoia 2003)
11. Neil Young - Cortez the Killer (Live Rust 1978)
12. Eric Clapton - Old Love (MTV Unplugged 1992)
13. Jimi Hendrix - Wild Thing (Monterey 1967)
14. The Allman Brothers Band - Statesboro Blues (At Fillmore East 1971)
15. David Gilmour - Shine on you crazy diamond (The Meltdown concert 2001)
16. B.B. King - Every day I have the blues (Live at the Regal 1964)
17. Rory Gallagher - A million miles away (Irish Tour, 1974)
18. Francesco Guccini - Canzone della bambina portoghese (Fra la via emilia e il west 1984)
19. Genesis - Firth of Fifth (Seconds Out 1977)
20. Crosby, Stills, Nash & Young - Teach your children (4 Way Street 1971)

Lucien

1. The Beatles - Don't let me down (sul tetto degli uffici della Apple - 30 gennaio 1969)
2. Joe Cocker - With a little help for my friends (Woodstock, 1969)
3. Jimi Hendrix Band of Gyspys - Machine gun (Filmore East N.Y, gen.1970)
4. The Doors - Roadhouse blues (Absolutely live, 1970)
5. Neil Young - Ohio (Live at Massey Hall, 1971)
6. Neil Young - Don't let bring you down (BBC Concert, 23 feb 1971)
7. Lou Reed - White light white heat (Rock'n roll animal, 1974)
8. 801 Live - Tommorow Never Knows (Beatles cover, 1976)
9. The Clash - White Riot (Victoria Park Londra, 1978)
10. Joy Division - Transmission (Peel Session, 1979)
11. Talking Heads - The great curve (Live Bologna, 1980)
12. Talking Heads - Psycho Killer (Stop Making Sense 1984)
13. Pink Floyd - The great gig in the sky (Live Modena, 1994)
14. Nirvana - Come as you are (MTV unplugged, 1993)
15. Alice in Chains - No Excuse (MTV unplugged, 1996)
16. Fabrizio De Andrè - Creuza de ma (Live 1998)
17. Quintorigo - Highway Star (Deep Purple cover, 1° maggio 2001)
18. Radiohead - Karma Police (Hail to the thief tour - Ferrara 2003)
19. Peter Gabriel - Sky blue (Growing up tour 2003)
20. The National - Vanderlyle crybaby geeks unplugged (Live with Beirut, 2011)

Fed Zeppelin

1. Led Zeppelin - Since I've been loving you (Long Beach Arena 1972)
2. Led Zeppelin - Going to California (BBC Session 1971)
3. Nirvana - Jesus doesn't want me for a sunbeam (MTV unplugged, 1993)
4. The Who - Pinball wizard (Isola di Wight live 1970)
5. Mr.Bungle - Pink Cigarette (Bizarre festival 2009)
6. Judas Priest - Diamonds and Rust (Wacken 2011)
7. Ozzy Osbourne - Paranoid (Wacken 2011)
8. Avantasia - Farewell (Wacken 2011)
9. Blind Guardian - Fly (Wacken 2011)
10. Motorhead - Ace of Spades (Wacken 2011)
11. Van Canto - The Bard's song (Wacken 2011)
12. Jethro Tull - My God (Roseto 1999)
13. Blind Guardian - The Bard's song (PalaAtlantico Roma 2010)
14. Apocalyptica - Nothing else matters (Wacken 2011)
15. Muse - Knight of Cydonia (Milano S.Siro 2010)
16. Deep Purple - Higway Star (Pescara Adriatico 2010)
17. Robert Plant & Band of Joy - Ramble On (Ippodromo Capannelle Roma 2011)
18. Iced Earth - Burning Times (Wacken 2011)
19. Ozzy Osbourne - Mama I'm coming home (Wacken 2011)
20. Judas Priest - The Sentinel (Wacken 2011)

brazzz

1. Talking Heads - The great curve
2. Devo - Gut feeling
3. Clash - Guns of Brixton
4. Frank Zappa -  Camarillo brillo
5. Gang of four - What we all want
6. Psychedelic furs - All of thi is nothing
7. Velvet underground - Venus in furs
8. Lou reed - Heroin
9. David Bowie - Fame
10. Peter Gabriel - Biko
11. James Chance - Contort yourself
12. Arto Lindsay - Mundo civilizado
13. Iva Bittova - Uspavanka
14. Liquid Liquid - Optimo
15. Siouxsie and the Banshees - Israel
16. Tuxedomoon - Volo Vivace
17. King Crimson - Indiscipline
18. Talking Heads - Houses in motion
19. Pere Ubu - Non-alignment Pact
20. Miles Davis - Moja

Blackswan

1. Deep Purple - Highway star (Made in Japan)
2. U2 - Sunday bloody sunday (Under a blood red sky)
3. The Allman Brothers Band - In memory of Elizabeth Reed (At Fillmore East)
4. Jesus Lizard - Nub (Show)
5. Genesis - The knife (Genesis live)
6. The Who - Summertime blues (Live at Leeds)
7. Bruce Springsteen - Thunder road (Live 1975-1985)
8. The Rolling Stones - Love in vain (Ger yer ya-ya’s out)
9. Nirvana - Where did you sleep last night (Unplugged in New York)
10. Neil Young - Ohio(Live at Massey Hall)
11. CSN&Y - Southern man (4 way street)
12. The Kinks - Lola (One for the road)
13. Lynyrd Skynyrd - Free bird (One more for the road)
14. Peter Gabriel - San Giacinto (Plays live)
15. Pearl Jam - Daughter (Milano, Fila Forum Arena 22/06/00)
16. Clash - Rock the casbah (Live at Shea stadium)
17. Jefferson Airplane - Somebody to love (Live at Monterey festival)
18. Bloomfield & Kooper - Dear Mr. Fantasy (Live adventures)
19. Alice in chains - Down in a hole (MTV Unplugged)
20. MC5 - Kick out the jams (Kick out the jams)

Resto In Ascolto

1. U2 – i still haven’t found (rattle and hum)
2. Joe ely - me and billy the kid (live at liberty lunch)
3. Talking Heads – Pulled Up (the name of this band)
4. Talking Heads – Once in a Lifetime (stop making sense)
5. Black Crowes – harde to handle (freak and roll into the fog)
6. Jeff buckley – kick out the jam (live at glastonbury 1994 mc5 cover)
7. Jeff buckley – Allelujah – (live a l’olympia)
8. Pearl jam – The Real Me (live in London who cover)
9. Pearl Jam – Indifference (live in in new York, 2003 w/Ben Harper)
10. Willy de Ville - Spanish stroll (live a l’olympia)
11. Peter Gabriel – In Your Eyes (secret world live)
12. Dream syndicate – Boston (live at raji’s)
13. Dream syndicate – John Coltrane Stereo Blues (live at raji’s)
14. Steve earle - guitar town (Shut Up And Die Like An Aviator)
15. Wilco – spiders (kicking television)
16. Wilco – A shot in the arm (kicking television)
17. Nirvana – where did you sleep last night (unplugged in new York)
18. Graham parker – hey lord don’t ask me questions (parkerilla)
19. David Bowie – moonage daydream (david live 1974)
20. David Bowie – let’s spend the night together (david live 1974)

Massi

1. Led Zeppelin - Whole Lotta Love (Live On Blueberry Hill 1970)
2. Rush - Working Man (Rush In Rio2003)
3. Litfiba - Dimmi Il Nome (Stato Libero 2010)
4. Pink Floyd - A Saucerful of Secrets (Live At Pompei 1972)
5. Johnny Cash - Cocaine Blues (At Folsom Prison 1968)
6. Genesis - The Musical Box (Genesis Live 1973)
7. Nirvana - Pennyroyal Tea (Unplugged In New York)
8. Black Sabbath - Black Sabbath (Live In Paris 1970)
9. Timoria - Sangue Impazzito (Generazione Senza Vento 2003)
10. Jethro Tull - Locomotive Breath (Bursting Out 1978)
11. Eric Clapton - Have You Ever Loved A Woman (Live At Fillmore 1970)
12. Jimi Hendrix - Killing Floor (Jimi Plays Monterey 1967)
13. Rolling Stones - Bitch (Decca Unreleseaed Live)
14. Deep Purple - Highway Star (Made In Japan 1972)
15. Ac Dc - Rocker (If You Want Blood...1978)
16. Pearl Jam - Daughter (Live On Two Legs 1998)
17. Black Crowes - Shake Your Moneymaker (Live At Greek 2000)
18. The Who - Magic Bus (Live At Leeds 1970)
19. Chris Cornell - Thank You (Songbook 2011)
20. Joe Bonamassa - Sloe Gin (Live At BBC 2010)

martedì 14 febbraio 2012

Avete paura dei fantasmi?


Inaspettati, imprevedibili, inquietanti e geniali, questi sono i quattro aggettivi che rappresentano al meglio quattro ragazzi di Omaha, cittadina del Nebraska nota per aver dato i natali a Malcolm X, Marlon Brando e Fred Astaire. I quattro ragazzi si chiamano Tim Kasher, Ted Stevens, Matt Maginn e Cully Symington, e non sono certo nomi o volti nuovi nel panorama indie e in particolare nel post-hardcore; quattro belle bestiacce che singolarmente hanno fatto e fanno parte, o semplicemente collaborano con gruppi del calibro di Bright Eyes, The Good Life, Slowdown Virginia, Commander Venus, Mayday, Lullaby for the Working Class, My Jerusalem, Bishop Allen, Gutter Twins, Okkervil River e chissà quante altre piccole e grandi band, e insieme formano i Cursive, dal 1995 un punto fermo dell'underground statunitense e non solo.

Già dai primi lavori i Cursive sono riusciti a crearsi un sound caratteristico, che affonda le sue radici nel post-hardcore a cavallo tra gli anni '80 e '90, sia in quello più grezzo di gruppi come Embrace e Hot Water Music, sia soprattutto in quello più sperimentale e quasi avanguardistico dei Fugazi, gruppo di cui maggiormente si nota l'impronta nella band di Omaha. Nonostante le pesanti influenze i Cursive si sono distinti negli anni grazie a un sound fatto di improvvise variazioni ritmiche, pause e repentine ripartenze, strumenti non convenzionali per il genere e mescolanze a tratti estremamente stranianti, e per la capacità di affrontare senza troppi timori reverenziali tematiche sentimentali e sociali, personali e politiche, il tutto attraverso sapienti concept album. E' questa infatti la caratteristica più distintiva e interessante dei quattro; dopo i primi due album, "Such Blinding Stars for Starving Eyes" del 1997 e "The Storms of Early Summer: Semantics of Song" del 1998, la band si scioglie per poi rivedere la luce l'anno successivo con l'ingresso in squadra di Ted Stevens alla chitarra, da qui ha inizio un processo di maturazione artistica che li porta a pubblicare 6 EP e 3 concept album: "Domestica", che affronta il tema dell'amore e delle sue due facce, il bello del romanticismo e il dolore della separazione; l'album ottiene un meritato grande successo e viene seguito 3 anni dopo da "The Ugly Organ", che prosegue sul filo delle tematiche personali affrontando non molto velatamente il tema del sesso; infine arriva "Happy Hollow", che sposta il discorso su argomenti sociali, politici e religiosi anche scottanti come omosessualità, aborto e bigotti pregiudizi della società.

Nel 2009 esce "Mama, I'm swollen", che viene accolto molto positivamente dalla critica in tutto il mondo mentre il pubblico, a dispetto delle ottime vendite, non lo considera all'altezza dei precedenti. A questo punto la band sparisce dalla scena e mette in cantiere un nuovo concept album che vedrà la luce nei negozi di dischi il prossimo 21 febbraio e che da ieri é disponibile in streaming esclusivo su Rolling Stone. Già definito un album schizofrenico, "I Am Gemini", questo io titolo dell'album prodotto da Matt Bayles (già produttore di gentaglia del calibro di Norma Jean, Isis, Mastodon, Soundgarden e Pearl Jam), segna il ritorno alla sfera emozionale, affrontando in particolare i temi dell'inquietudine e del dualismo. L'intero disco ruota attorno alla storia di Cassius e Pollock, due gemelli, uno buono e uno cattivo, separati aléa nascita e che si ritrovano per un caso fortuito nella stessa casa, una casa infestata da creature spaventose, angeli e demoni. L'album é strutturato come fosse una recita teatrale, tanto che il booklet divide l'album in due atti e non c'é traccia dei titoli dei brani, c'é spazio invece per il racconto di situazioni, movimenti e sensazioni a cui i personaggi del racconto andranno incontro, e in mezzo ai quali sono incastonati i testi delle canzoni, quasi fosse il copione teatrale del racconto.

Il sipario si apre con la fumosa atmosfera e l'incalzante crescendo di "this house alive", brano dall'impronta dark e quasi grunge che proietta l'ascoltatore all'interno di una scricchiolante casa di legno avvolta dalla nebbia e da un'aura terrificante. L'incedere snervante della batteria sostenuta e della chitarra tremolante accompagnano la voce di Kasher che coinvolge da subito, risvegliando l'inquietudine più nascosta raccontando che "There are voices in the dead of night, a child screaming: 'I Am Gemini' ". La successiva "Warmer warmer" dà il via ad un terzetto di brani marcatamente indie ma con improvvisi cambi di ritmi ed atmosfere, con derive ora poppeggianti ora oscure, con un sound a tratti sussurrato e a tratti esplosivo e devastante, e un cantato che seguendo la trama passa da attimi dal tono quasi soffocato dalla paura e scatti nervosi che si chiudono con screaming davvero terrificanti. Così tra svisate piene di watt, rumori di fondo, ritmi spezzati e riprese al fulmicotone si procede nella narrazione attraverso "The sun and the moon" e "Drunken birds" e si arriva alla lenta "Lullaby for no name", ninna nanna strumentale che non promette nulla di buono, rappresenta infatti il preludio alla ritmata "Double dead" e soprattutto alla successiva "Gemini", pezzo forse migliore dell'intero album (anche se separare i singoli brani di un disco come questo significa decontestualizzarli e snaturarli), due minuti e mezzo di cavalcata marziale caratterizzata da un grandissimo lavoro di Cully Symington alla batteria e da vibranti crescendo ritmici a cui non a caso è affidato il giro di boa; sullo screaming e le distorsioni finali di "Gemini" si conclude infatti il primo atto della storia. La narrazione riprende con "Twin dragon/Hello Skeleton", che con i suoi quasi 6 minuti è il brano più lungo dell'intero disco, 6 minuti in cui si alternano melodie elettriche e incalzanti ritmi indie-rock e che preparano il terreno per "Wowowow", un brano di potente hardcore senza se e senza ma, con la chitarra di Stevens carica di watt come un mulo, le pelli dei tamburi di Symington tirate al massimo e la straziante voce di Kasher che si lancia in agghiaccianti urla nervose a chiudere il cerchio 3 minuti adrenalinici come pochi, tra violenti stop&go ormai distintivi della band e un finale di pianoforte inaspettatamente lento. la lenta chiusura di "Wowowow" spezza il tempo e rallenta il ritmo, lasciando un po' di respiro all'ascoltatore e introducendo la successiva "This house a lie", un minuto e mezzo di strumentale rilassamento che rappresenta la cosiddetta quiete prima della tempesta. "This house a lie" è l'ultimo attimo di respiro prima del devastante uno-due finale in apnea formato dai ritmati e incalzanti "The Cat and Mouse" e "A Birthday Bash", brani prettamente post-rock carichi di bassi e snervanti, con il solito Cully Symington a picchiare duro e ad interrompersi di colpo, accompagnando inaspettate svisate chitarristiche e le ormai solite variazioni tempistiche. Come ogni racconto che si rispetti all'ultima pagina, o meglio all'ultimo brano, è affidato l'epilogo, "Eulogy for no name" è cronologicamente ambientato anni dopo il resto della storia e ad accompagnarci ci sono ritmi e volumi bassi e la voce del nostro narratore che per l'occasione si fa profonda ricordando non poco quelle di altri narratori ormai remoti ma mai dimenticati della musica. Le parole di Kasher procedono lente per poi cedere sul finale a un crescendo musicale che esplode nervosamente offrendo una chiusura dalle venature quasi metal perfetta per mettere la parola fine ad un album vibrante come questo.

"I Am Gemini" è un concept album, e come tale va approcciato con il giusto atteggiamento e, cosa molto importante, con il booklet davanti come non fosse un disco ma uno spettacolo teatrale, perchè i brani, singolarmente molto buoni, diventano ottimi se inquadrati nel loro contesto, e ogni suono, ogni interruzione, ogni rumore ha un significato ed un obiettivo ben preciso ai fini della narrazione, ma soprattutto del coinvolgimento emotivo. "I Am Gemini" è un turbine di sensazioni, un continuo senso di paura e sospetto, è la struggente espressione di due aspetti contrastanti dell'animo, la tranquillità e il terrore, il conscio e l'inconscio che si alternano tra le stanze della casa, la ragione che spinge a non credere ai fantasmi e l'istinto di voltarsi di colpo e tendere l'orecchio ad ascoltare ogni singolo cigolio. "I Am Gemini" però è soprattutto un racconto che scorre senza cedimenti dall'inizio alla fine, tra ritmi altalenanti, colpi di scena e atmosfere inquietanti, per questo va inquadrato come tutt'uno, come opera intera, e nello stesso modo va giudicato. I Cursive confermano con questo ultimo lavoro una maturità compositiva e una capacità espressiva che li pongono senza dubbio un gradino sopra alla maggior parte delle band dell'underground, oltre che ottimi narratori thriller, capaci di coinvolgere l'ascoltatore e smuovere sensazioni, dubbi e paure recondite. E voi? Avete paura dei fantasmi?....

Voto: 8,5

Tracklist

1. This House Alive
2. Warmer Warmer
3. The Sun and Moon
4. Drunken Birds
5. Lullaby for No Name
6. Double Dead
7. Gemini
8. Twin Dragon/Hello Skeleton
9. Wowowow
10. This House a Lie
11. The Cat and Mouse
12. A Birthday Bash
13. Eulogy for No Name

martedì 7 febbraio 2012

Loz Must - Tonight's the night


 Rock, rock e ancora rock, distorsioni elettriche che cavalcano sulla pelle, emozioni che corrono a trecento all'ora nelle vene, alcol, droghe e un costante stato di follia emotiva in bilico tra nuovi orizzonti e pesanti ricordi, rabbia, frustrazione, nervi e sudore, potenza e disperazione, tremendi fantasmi e una pellaccia dura come poche segnata da un viaggio dal Canada all'inferno e ritorno. Tutto questo ha un volto e un nome, quelli del "Solitario" Neil Young, e "Tonight's the night" è l'album più viscerale, sofferto e oscuro del cowboy di Toronto. Siete pronti alla discesa negli inferi?....

E' la prima metà degli anni '70, periodo d'oro del rock in tutte le sue più classiche sfumature, la creatività e la sperimentazione musicale sono ai loro massimi storici, sugli scaffali dei negozi di dischi così come sulle locandine di concerti e festival campeggiano nomi del calibro di Rolling Stones, Beatles, Janis Joplin, Jimi Hendrix, John Mayall, Bob Dylan e chi più ne ha più ne metta, e Neil è già entrato a far parte senza timori reverenziali dei protagonisti di questa incredibile scena musicale. Dopo i primi passi mossi durante l'adolescenza in Canada infatti Neil aveva raggiunto la West Coast e fondato i Buffalo Springfield, con cui già nel '66 era diventato un punto di riferimento per la scena country-folk e a cui aveva già regalato storiche ballate folk come "Mr. Soul" e "I Am A Child", dopodichè, sul finire dei sixties si era lanciato in una carriera solista che già dai primi lavori aveva spostato il baricentro della sua musica dal folk delle origini a un più graffiante folk-rock elettrico, intriso di nevrosi blues e potenti arrangiamenti chitarristici che portano il sound di Neil ad essere più grezzo e imperfetto, ma tremendamente più espressivo. Del folk-singer canadese degli inizi sembra non esserci più traccia in Neil, ma gli anni '70 cambieranno di nuovo tutto.... Il 1970 è un anno essenziale per la carriera di Neil, viene infatti chiamato ad unirsi al supergruppo Crosby Stills & Nash in cui militava il vecchio amico e compagno nei Buffalo Springfield Stephen Stills, e si forma così il più grande supergruppo di sempre, Crosby Stills Nash & Young, i quattro moschettieri del folk-rock, quattro musicisti eccezionali, ognuno di formazione e predisposizione musicale diversa (si va dalla mostruosa tecnica chitarristica si Stephen Stills alla capacità melodica di Graham Nash, fino alla psichedelia dell'hippy David Crosby, e a coronare tutto ci sono la potenza elettrica e il sudore di Neil Young) che insieme incideranno pochi ma essenziali lavori, diventando fonte di ispirazione per i decenni seguenti, e che proprio nel 1970 esordiscono con il loro capolavoro assoluto, quel "Deja-vù" con cui imprimono a fuoco i loro nomi nel firmamento del rock. La partecipazione al supergruppo riporta come una ventata d'aria fresca il folk nella vita di Neil Young e il "Cavallo pazzo" ne rimane ancora una volta tremendamente influenzato. Parallelamente al progetto CSN&Y infatti, Neil Young prosegue la sua carriera solista che sempre nel '70 si arricchisce di un nuovo lavoro, forse il più apprezzato di tutta la sua carriera, "After the gold rush", un album straordinario, sognante e allo stesso incredibilmente realistico, un'opera estremamente poetica che rimbalza tra nostalgica rassegnazione, rabbia nervosa e dolcezza che lo consacra definitivamente come uno dei massimi profeti del folk-rock.

Neil ora è sul tetto del mondo, e si lancia in un grandissimo tour acustico in giro per il mondo, perchè in fin dei conti è sempre stato un animale da palcoscenico, e su assi di legno polverose, con la chitarra in mano e la sua armonica davanti alle labbra è imbattibile, sia che esegua brani lenti e sentiti, sia che alzi l'amplificatore al massimo e rovesci scariche di elettricità sul pubblico. Il successo strepitoso di "After the gold rush" diventa la spinta per un nuovo lavoro, ancora più sentito e ancora più destinato al successo, infatti terminato il tour acustico Neil si rimette al lavoro e spreme fino al midollo le sue origini country per tirarne fuori nel 1972 l'ennesimo coniglio dal cilindro, 10 brani di polveroso country americano, un viaggio mentale in una dimensione rurale sotto ogni punto di vista, un album dai risvolti bucolici che stravolge di nuovo tutte le regole, nuovi suoni, nuove vibrazioni, una nuova veste per Neil Young, quella si un uomo consumato dalla vita, come un contadino con la schiena arsa dal sole e le mani consumate dal duro lavoro. Il lavoro in questione si intitola "Harvest", "Raccolto", e, inutile dirlo, segna un nuovo tremendo, devastante successo. In questo momento Young rappresenta in modo perfetto la sintesi del rocker, capace di consumarsi sul palco in modo isterico quanto di diventare poetico, con l'occhio sempre teso all'orizzonte e a canzoni ed emozioni nuove ma con bene in testa i punti saldi di una già grandissima carriera che fanno sentire pesantemente la propria influenza, in grado di affrontare temi sociali e politici e trascinare le folle, e allo stesso tempo incapace di avere il minimo rispetto per sè stesso, vivendo a mille all'ora ed entrando in un turbine autodistruttivo fatto di nottate alcoliche e droghe in quantità industriali.

Se Neil Young fosse morto nel 1972 la sua storia risulterebbe fin troppo simile a quella di altre meteore del rock, scintillanti stelle spentesi troppo in fretta, rocker dannati vittime inermi delle loro stesse esagerazioni, imprigionati in personaggi estremi che loro stessi si erano creati, ma il comandante Young ha la pellaccia dura e ha in serbo ancora moltissime cartucce. Dopo l'uscita e l'inevitabile successo di "Harvest" la vita sferra colpi potentissimi a Neil. Gli abusi di alcol e droghe cominciano a far sentire i loro effetti e la salute del cowboy comincia a dare segni di cedimento, e come se non bastasse il figlio viene colpito da una paralisi cerebrale che colpisce nel profondo l'artista, indirizzandolo verso una tremenda crisi; a questo si aggiunge la goccia che fa definitivamente traboccare il vaso: Danny Whitten, chitarrista dei Crazy Horse, e Bruce Berry, uno dei "roadie" della squadra di Neil, muoiono di overdose. Neil è colpito al cuore e si sente affossare dai sensi di colpa; comincia così un periodo di devastante depressione che lo porta ad un processo di nichilistica autodistruzione. Non c'è più traccia del Neil Young che affrontava la vita a viso aperto degli anni precedenti, non c'è più spazio per la felicità e la voglia di vivere, Neil ora è un dannato, una cosciente vittima di sè stesso diretta tra le braccia dei suoi più spaventosi fantasmi. La crisi emotiva di questo periodo si ripercuote in maniera estrema sulle composizioni e sull'arrangiamento dei nuovi brani, e si rivela a conti fatti la più potente scintilla creativa della carriera di Neil. L'artista vive per tre anni sull'onda di una vena creativa livida e masochista, che esplode letteralmente in esibizioni dal vivo al limite del collasso fisico e brucia come le fiamme dell'inferno sui solchi di tre dischi che formeranno la cosiddetta "trilogia oscura" di Young. Il primo album è "Time Fades Away", album live composto da brani inediti che segna il punto di non ritorno. All'uscita dell'album la critica è sconvolta e il pubblico è sconcertato, Neil si mette completamente a nudo, rifiutando ogni qualsivoglia linea compositiva e arrangiatoria ben definita, fregandosene di steccate, stonature e tempi sbagliati, urla la sua disperazione e se la prende con il mondo intero. Commercialmente l'album segna un mostruoso crollo nelle vendite e in classifica, i primi posti in tutte le classifiche mondiali di "Harvest" sono soltanto un ricordo, ma a Neil non interessa, è disperato e divorato da paure e vizi del successo commerciale se ne fotte letteralmente. Ne è un ulteriore segno l'album successivo, "On the beach", ancora più oscuro, ancora più solitario e ancora meno venduto, che anticipa temi, sensazioni e sound caratteristici del punk e del grunge che nasceranno in futuro, ma nel 1974, anno della sua pubblicazione, della grandezza di "On the beach" in pochissimi si rendono conto....

Ormai pubblico e critica danno Neil Young per spacciato, il "cavallo pazzo" si sta consumando e distruggendo con le sue stesse mani, giorno dopo giorno, bicchiere dopo bicchiere e dose dopo dose e la sua agonia pare destinata ad accompagnarlo per il resto della vita; succede così che l'etichetta decide di attendere addirittura quasi due anni prima di pubblicare il terzo capitolo della trilogia, per poi rendersi conto di aver atteso con timore a pubblicare uno dei più densi, viscerali e incredibili lavori del cantautore canadese. "Tonight's the night" è l'apoteosi dell'agonia del rocker, un album oscuro già dalla copertina, con un consumatissimo Neil Young su uno sfondo nero tanto semplice quanto desolante. Raccontare un album come questo abbastanza bene da rendergli giustizia è pressochè impossibile, "Tonight's the night" è un canto disperato, è depressione e sofferenza, è solitudine, rabbia e un continuo stato di allucinazione, è un turbinio di emozioni, di vibrazioni, di sensazioni che scuotono da dentro, è una follia emozionale, è paura, sospetto e senso di vuoto, è il racconto di un viaggio all'inferno, è il rock, il blues, la droga e l'autodistruzione, è la morte e allo stesso tempo la paura di raggiungerla e la consapevolezza di non avere scampo, e Neil Young ne è artefice e narratore, una graffiante voce fuori campo che come Caronte accompagna nelle viscere dell'umana disperazione. La title-track apre quasi sottovoce con il coro "Tonight's the night" verso un sofferto crescendo che lascia spazio alla voce di Neil, che quasi strozzata canta i primi versi: "Bruce Barry was a working man/ he used to load that Encoline van", riferiti al roadie e amico Bruce Barry a cui, insieme a Danny Whitten, è dedicato l'album. E' un blues ubriaco e stonato da cui traspare il tremendo senso di colpa di Neil, che sofferente come non mai dice "Cause people let me tell you / It sent a chill up and down my spine / When I picked up the telephone / And heard that he'd died / Out on the mainline". A seguire arriva da lontano, molto lontano, "Speakin' out", un polveroso blues che sa di sudore e notti insonni, di bottiglie di whiskey prosciugate per dare un senso a tutto, per restare attaccati a questa vita in un modo o nell'altro, per sopportare una profonda stanchezza e una nevrotica insofferenza al mondo esterno. Anche brani più cadenzati sono irrimediabilmente condizionati dall'aura di dolore che pervade l'intero album, e la successiva "World on a string" ne è un esempio, ritmo cadenzato e la chitarra di Neil che finalmente comincia a farsi sentire, ma una voce consumata e un testo pregno di sconsolata rassegnazione, perchè "the world on a string Doesn't mean a thing", "Il mondo in pugno non significa nulla". Il senso di nostalgia pervade l'anima sulle note di "Borrowed tune", una melodia presa in prestito, come recita il titolo, da "Lady Jane" dei Rolling Stones, che però con un pianoforte più secco e tracce di armonica qui e là ha un sapore autocommiserativo e oscuro. Ad alzare il ritmo e a riagitare la pelle arriva "Let's go downtown", country-rock elettrico e scanzonato che porta con sè un'agrodolce emozione visto che il brano è stato registrato durante un concerto al Fillmore East qualche anno prima quando Danny Whitten era ancora vivo e proprio in questo pezzo cantava energicamente in coppia con Mr. Young. "Mellow my mind", piazzata al centro dell'album, ne rappresenta il cuore, l'espressione massima, la sintesi in musica di un animo distrutto dalla vita e che nient'altro desidera se non dimenticare tutto, rilassare la mente anche solo per un attimo; un brano che entra sottopelle a colpi di armonica e scuote dentro con la voce sfinita di Neil che sembra piangere fiumi di lacrime ad ogni parola. E poi di nuovo il country, a ritmo lento, una cavalcata al trotto verso casa tra alcol e ricordi in bilico tra la nostalgia di Woodstock e di "Quel giorno degli elicotteri" e il desiderio di viaggiare, "fare il pieno" di benzina e di whiskey e "Though my feet aren't on the ground / I been standin' on the sound / Of some open-hearted people goin' down". Un altro viaggio, più acido e solitario del precedente, è quello di "Albuquerque", psichedelico e desolante desiderio di sfuggire al mondo, fermarsi ad Albuquerque "Dove nessuno baderà a me" e respirare libertà, il tutto accompagnato da un sound che mescola alla perfezione l'imponente chitarra di Neil con una batteria soltanto accennata toccando sonorità tra lo shoegaze e lo slowcore con almeno 10 anni di anticipo rispetto al resto del mondo. Tempi lenti e suoni sussurrati restano anche per la successiva "New mama", lenta e sognante ballata da pelle d'oca, che lascia il posto all'incedere elettrico e stonatamente distorto della Black Pearl del signor Young, che ricorda nostalgicamente i bei vecchi tempi con "Lookout Joe". Il troppo ricordare i vecchi tempi però fa riaffiorare la sofferenza, la tristezza per persone care che non ci sono più, amici divorati da quel rock'n'roll che tanto amavano e tragedie, disperazioni e rimpianti di un'intera vita che sembrano prendere vita ad ogni parola, ad ogni respiro, ad ogni nota di "Tired eyes", speaking blues struggente e stanco da groppo in gola appoggiato su una melodia tanto semplice quanto penetrante, suonata da pianoforte, chitarra e l'immancabile armonica a coronare il tutto. L'album si chiude come si era aperto, con la seconda parte di "Tonight's the night", identica alla prima nel testo ma più decisa, sporca ed elettrica nel sound; se inizialmente Neil sussurrava con voce sfinita la sua sofferenza, dopo averla affrontata e ripercorsa attraverso i brani dell'album sembra essere più convinto di poterla affrontare, e allora se c'è un modo perfetto per ricordare l'amico Bruce, divorato dal rock vissuto al massimo, è scaricare elettricità nelle corde di una gibson cavalcando nonostante i lividi e le botte. In fondo il rock è anche, anzi, soprattutto questo....

Quel che fa di un cantautore un grande cantautore è senza dubbio la capacità di tradurre in parole le emozioni, rovesciare nella musica le idee, le sensazioni e le atmosfere, quelle limpide e felici quanto quelle tetre e tristi, e pochi l'hanno saputo fare come Neil Young. "Tonight's the night" rappresenta il punto più oscuro e tragico di una vita all'insegna del rock e delle emozioni forti, ma al contempo rappresenta la vetta espressiva, emozionale e sincera dell'uomo Neil Young, "Tonight's the night" è il riassunto di un'epoca visto attraverso gli occhi, il cuore e i ricordi di chi l'ha vissuta in prima persona, quasi fossero una sequenza di istantanee, rese dense e significative dalle emozioni e da ritmi cardiaci folli scanditi alla perfezione dalla musica e dalla voce del nostro narratore d'eccezione. Ma "Tonight's the night" è molto di più, è un saggio sul dolore, una sintesi su quanto la sofferenza consumi dentro, su quanto volenti o nolenti di certi fantasmi è impossibile liberarsi e su quanto in fondo, ricchi o poveri, famosi o anonimi, le emozioni e la sofferenza più di tutte ci avvicinino in un'emotiva uguaglianza che non teme il passare del tempo e delle generazioni; è un album sconcertante, rock fino nel midollo come il suo autore, blues per attitudine e indefinibile per il turbine di emozioni che smuove dentro, è qualcosa che spiega meglio di un milione di libri quanto pesanti possano essere le rughe scavate su un volto.

Un cantautore di casa nostra in uno scarabocchio di 20 anni fa si chiedeva "Riuscirò a fare un disco che assomigli a questo vulcano che sento nella pancia?", bè, Neil Young ci è riuscito....

lunedì 6 febbraio 2012

E' già passato un anno....


Gary Moore (4 aprile 1952 - 6 febbraio 2011)


Oggi il cielo d'Irlanda è un po' più scuro....

So long Gary.... We miss you....










mercoledì 1 febbraio 2012

Sit-Rock: Live Act - Si parte!


Ciao a tutti!

Questo post doveva comparire domenica ma i post programmati di blogger sembrano avercela con il sottoscritto....

Bando alle ciance, è ora di cominciare con la sfida delle Sit-Rock dedicata alla musica live. Sulla lunghezza solita delle 20 canzoni stavolta vi chiedo, se doveste stilare una scaletta del "concerto perfetto", che pezzi scegliereste? Se vi va di partecipare tutto quel che dovete fare è lasciare la vostra lista tra i commenti, e se di una canzone avete in mente un live ben preciso basterà specificarlo....

Questa qui sotto è la mia scaletta da concerto, aspetto con ansia di leggere le vostre....

 1. The Who - Pinball wizard (Isola di Wight live 1970)
 2. The Doors - Peace frog (New York live 1970)
 3. Mano Negra - Rebel spell (Tokyo live 1990)
 4. Alanis Morissette - You Oughta Know (New York unplugged 1999)
 5. Rolling Stones - Tumbling dice (Bruxelles live 1973)
 6. Negrita - R.J. Angelo ribelle (Monza live 2009)
 7. Dire Straits & Eric Clapton - Brothers in arms (Wembley live 1985)
 8. Mr. Big - Colorado bulldog (Train Aarhus live 2009)
 9. Johnny Cash - Ghost riders in the sky (Montreaux live 1994)
10. Black Sabbath - War pigs (Parigi live 1970)
11. PJ Harvey - Rid of me (Sidney live 2001)
12. Jethro Tull - Thick as a brick (New York live 1978)
13. Radiohead - Wolf at the door (Praga live 2009)
14. B.B. King - The thrill is gone (Montreaux live 1993)
15. Neil Young - Hey hey, my my (Champaign live 1985)
16. Litfiba - Gioconda (Colpo di coda live 1994)
17. Joss Stone - Some kind of wonderful (New York live 2010)
18. Pearl jam - Jeremy (Landgraaf live 1992)
19. Jònsi - Grow til tall (Milano live 2010)
20. Ramones - Blitzkreig bop (Londra live 1977)