lunedì 25 giugno 2012

Ne è valsa la pena....



Come riassumere 50 ore di concerti condensate in soli 4 giorni? Ce ne sarebbero di cose da raccontare, una marea davvero, ma da dove cominciare?....

Ci sono stati i Manowar. Dopo 10 anni di assenza dallo stivale la prima data è stata la loro, sì, prima ci sono stati Amon Amarth, Unisonic, Holy hell e chi più ne ha più ne metta, ma giovedì è stato tutto per loro, e la trepidante attesa è stata ampiamente premiata, 2 ore di concerto senza un picosecondo di pausa, un ragazzo del pubblico che viene chiamato sul palco per suonare la chitarra insieme alla band e che alla fine la chitarra se la porta a casa per gentile omaggio di DeMaio e soci, una bomba dietro l'altra, Donnie Hamzik che picchia duro sui tamburi, Karl Logan che non manca una sola nota, e poi Joey DeMaio che con 4 corde e le sue dita magiche suona "The Flight of the Bumble-bee" - il Volo del Calabrone di Rimskij-Korsakov, Anno Domini 1899 - davanti a qualche migliaio di persone in adorazione, e infine Eric Adams, classe 1954, quasi 60 anni e una montagna di muscoli che dopo un monologo in italiano si fa serio, commosso e chiede al pubblico un minuto di silenzio per l'amico Scott Columbus, compagno di una vita intera scomparso poco più di un anno fa ma rimasto nei cuori di tutti. E poi ancora un tuffo al cuore, difficile da raccontare perchè sentire la voce di Eric Adams accompagnata da quelle di un intero pubblico di metallari cantare a squarciagola "Nessun dorma" è qualcosa di davvero unico, e chissà, forse Big Luciano da lassù sorrideva....

Ci sono stati i Guns N'Roses venerdì, o quel che ne rimane perlomeno, Axl e soci, quelli nuovi purtroppo, per quelli vecchi sappiamo tutti che le speranze sono pari a zero, ma vedere quel nome sul biglietto è comunque un'emozione, un salto indietro nel tempo di 25 anni, e mi perdoneranno i Rival Sons, mi perdoneranno i Black Stone Cherry, tra i migliori non protagonisti, e così pure dovranno fare gli Within Temptation e Sebastian Bach, ma "Guns N'Roses" sono tre parole che mettono in secondo piano tutte le altre, anche se una grande delusione c'è, nonostante un concerto lunghissimo (oltre un'ora e mezza in più del previsto) e a dir poco pirotecnico, perchè c'era un sentore strano nell'aria, la sensazione che tutto fosse un tentativo di sopperire alle mancanze, la voce di Axl non è più in grado di arrivare fin dove osano le aquile come un tempo, e sentirlo sostituire gli acuti con dei versetti che assomigliano più a dei vagiti è una pugnalata alla schiena, di contro lui ci prova, seppur a scatti qualche acuto degno dei Guns lo tira fuori, corre, salta, si agita e si consuma sul palco fino all'ultima goccia di sudore e alla fine chiama a sè Sebastian Bach per qualche acuto vero. Sopperire alle mancanze è la parola d'ordine anche per la musica, soprattutto per la chitarra - ovviamente - perchè Axl negherà fino alla fine, ma chiamare sul palco 3 chitarristi per fare il lavoro di uno (e non uno qualsiasi) è la dimostrazione che quella musica, quelle canzoni, senza Slash e la sua Les Paul nel 1987 forse non avrebbero scosso il mondo in quel modo.... Certo non aiuta il fatto che DJ Ashba (lasciatemi dire una cosa da fan: QUEL CRETINO di DJ Ashba) riesce a sbagliare persino l'attacco per eccellenza, quello di "Sweet child o'mine", e per quanto pirotecnica e spettacolare sia stata l'esibizione, errori come questo sono cose che i fan non perdonano. Resta comunque la soddisfazione di aver visto uno spettacolo potente e coinvolgente, e la consapevolezza di aver visto - non senza un forte dolore al petto per lo stato affannoso e un po' triste - un uomo a cui in fondo devo davvero molto....

Ci sono stati i Motley Crue sabato, ed anche lì lo spettacolo è stato incredibile. Vince Neil e soci saranno pure tamarri come pochi altri, ma sanno tenere il palco da Dio, scenografia che non bada a spese, due (scusate il francesismo) gnocche stratosferiche sul palco che male non fanno, una musica esplosiva che da esattamente 30 anni fa saltare ed urlare la gente sotto il palco e persino un binario circolare su cui stava appoggiata la batteria del sempre eccezionale Tommy Lee, che ad un certo punto preleva un fortunato spettatore e lo accompagna dietro piatti e tamburi, gli si siede accanto e la batteria comincia a muoversi lungo il binario per 10 minuti di giri della morte a bordo di una batteria con Tommy Lee a picchiarla duro.... E poi c'è Vince Neil, una voce con muscoli e capelli lunghi, c'è quell'armadio a quattro ante di Nikki Sixx, defilato ma tremendamente coinvolgente con le sue quattro corde, e c'è Mick Mars, due mani che appoggiate su una stratocaster sembrano diventare quattro, o forse di più.... C'è l'essenza di un rock esplosivo, arrogante e sfacciato che volenti o nolenti conquista sempre e i Motley Crue ancora una volta l'hanno saputo rovesciare addosso ai più di 10000 spettatori urlanti che si divertono e ringraziano.... Ma venerdì è stata la giornata di qualcun altro, qualcuno che forse è stato la vera star della giornata, qualcuno con dei lunghi ricci neri, una camionata di muscoli sulle braccia e una tuba nera, qualcuno che l'attacco di "Sweet child o'mine" non lo sbaglia, qualcuno che non ha bisogno di scenografie piene di luci e fiamme, perchè di effetti speciali ne ha 10, tutti tra le nocche e le falangette, e di fuochi d'artificio ne sparano ad ogni assolo.... Slash, basta il nome sul telone dietro il palco per far correre la gente a schiacciarsi contro le transenne, e quando la tuba ed i riccioli compaiono da dietro le quinte il delirio della folla non si fa aspettsre.... Per l'occasione, così come negli ultimi 2 anni, ad accompagnare il chitarrista c'è il fido Myles Kennedy - voce (meravigliosa) degli Alter Bridge -, Todd Kerns e Brent Fitz, alias The Conspirators. L'esibizione è un delirio, ad ogni attacco un urlo della folla, ad ogni assolo un'emozione, e ad ogni acuto agli ultrasuoni di Myles un pensiero che corre ad Axl.... Myles e soci fanno il loro lavoro egregiamente e Slash è sempre lui, impeccabile, suono pulito e groove grezzo, "un po' troppo blues" avrebbe detto qualcuno, ma che spettacolo ragazzi!!! Un'ora e mezza che pare volare via in un attimo, in cui Slash non si prende mai completamente la scena. Non ci sono storie, la star è lui, eppure suona semplicemente come il chitarrista del gruppo, si mette al servizio della squadra e anche se tanti avrebbero voluto un intermezzo dei suoi, magari l'assolo de "Il padrino", l'umiltà premia: la gente era lì per Slash, ma gli applausi erano per tutta la squadra.... Giù il cappello e grazie ancora Slash....

C'è stato Ozzy la domenica, per l'ultima data che inizialmente doveva essere anche l'unica, "Ozzy & friends", questo il nome sulla locandina, anche se purtroppo il nome sarebbe dovuto essere quello più completo e altisonante dei Black Sabbath, i capistipite del metal che dopo tanti anni si sono riuniti, ma ahime, Tony Iommi deve vincere una battaglia molto dura, quella con un tumore alla mano che fortunatamente gli è stato diagnosticato in fase iniziale e che comunque lo ha costretto a non partecipare alla tournèe. Ozzy e compagni hanno comunque deciso di onorare gli impegni presi, ma senza Tony il nome Black Sabbath deve restare ancora un po' nel cassetto in attesa di tornare a scuotere il pubblico, così Ozzy chiama a sè un paio di amici di vecchia data e regala la più degna conclusione di un Gods Of Metal di questa portata. Gli amici in questione sono Gus G., Rob Nicholson, Tommy Clufetos e Adam Wakeman, musicisti della sua band, e tre guest star: Slash, Zakk Wylde e Geezer Butler, suo vecchio compagno di avventure nei Sabbath. C'è bisogno di dire che il risultato è stato fantastico?? Sul maxi schermo scorrono le immagini di tutta la carriera dei Sabbath e di Ozzy, il pubblico già canta e fa i cori, ma quando il madman fa il suo ingresso è un delirio in ogni dove, si attacca subito carichi e da qui in avanti sarà un crescendo di urla, applausi e corna alzate. Ozzy è un animale da palco, nonostante la sua età e il suo fisico consumato dagli eccessi gli pongano dei limiti lui non molla, canta meravigliosamente, incita la folla, corre avanti e indietro (a volte senza capire dove si trova di preciso ma poco conta....) e poi prende l'immancabile idrante e lava la folla, si spara l'acqua in faccia, salta e ne combina di tutti i colori. Il repertorio è dei più classici, qualche pezzo di "Scream", ultimo album del signor Osbourne, e poi via di nostalgia con i pezzi storici! Prima canta solo con Gus G. alla chitarra, poi tra le urla della folla annuncia Slash e Geezer Butler e dopo di loro quel bestione di Zakk Wylde. Inutile dire che tutti e tre regalano come sempre grandi emozioni e grandi, grandissimi assoli, uno su tutti quello di Butler, cinque minuti di solo basso che hanno ricordato non poco "Voodoo Child" di Jimi Hendrix, e scusate se è poco! Più che un concerto, più che un'esibizione stupenda, lo spettacolo è stato una sintesi in musica della carriera di Ozzy, con "Mama I'm coming home" in cima alla classifica delle migliori, una sintesi dei Black Sabbath che va da "Iron Man" a "War Pigs", da "Crazy Train" all'immancabile "Paranoid", messa a conclusione del festival come un grande, esplosivo saluto, e per l'occasione eseguita con tutti i "Friends" di Ozzy sul palco in un'apoteosi di suoni e carica elettrica. Ozzy saluta e non c'è una sola persona che non alzi le corna in onore suo e dei suoi compagni di palco, un pensiero vola a Tony Iommi con l'augurio di sconfiggere quel mostro, ma addosso resta la sensazione di aver guardato in faccia un pezzo di storia, e di aver sentito della grande, grandissima musica....

C'è stato tutto questo e altro ancora, si potrebbe raccontare di Zakk Wylde e dei suoi Black Label society che come sempre hanno fatto tremare i muri, si potrebbe parlare dei Darkness, della loro reunion e della loro fantastica esibizione,la migliore in assoluto tra i non protagonisti nonostante un guasto tecnico e una pausa inattesa, si potrebbe parlare degli Within temptation, degli Opeth che prima di passare al metal pesante hanno suonato del gran bel progressive, addirittura con una cover della Nostra PFM, potrei raccontare di tante cose, di tante esibizioni e tante vibrazioni, ma questo, come ogni altro mio raccogliticcio racconto non renderebbe giustizia alle emozioni che ci hanno travolto come una valanga, e allora lascio spazio a qualche video, di una qualità non strepitosa, lo so, ma l'emozione era tanta e le mani tremavano....

Per ogni secondo di questi video è valsa la pena di bruciare al sole e dormire pochissimo per quattro giorni e di aver consumato gli ultimi residui di voce su "Paranoid", perchè c'è chi c'era e chi non c'era, noi c'eravamo e non potremo mai dimenticarlo....










lunedì 18 giugno 2012

Rabbioso Stilnovo


E' notte fonda, e nella stanza l'espressione "buio pesto" sembra essere un eufemismo, quando da un angolo si scorge una luce dai colori strani, uno squarcio nell'oscurità in mezzo al quale le zampe di un enorme ragno si muovono, poi un cd che comincia a girare e una chitarra acida e distorta ad aprire le danze. E' così - brancolando nel buio e con la sensazione che qualcosa lì in mezzo si stia muovendo - che si entra nel mondo dei Miriam Mellerin, power trio pisano formato da Diego Ruschena, Daniele Serani e Pietro Borsò che promette fuoco e fiamme....

Sono molto giovani i tre toscani, classi 1988, 1989 e 1993, come giovane è la loro band, ma l'età conta davvero poco quando ci sono talento e passione, tant'è che dal 2010, anno di nascita del gruppo, i Miriam Mellerin sono letteralmente esplosi, in un battito di ciglia si sono ritrovati appena ventenni a condividere il palco con Gazebo Penguins, Ovo, Titor e persino Giorgio Canali, e vengono notati quasi immediatamente da Edoardo Magoni, produttore già di un'altra ottima band toscana del circuito Alternative rock italiano, i Kobayashi. Magoni non ci pensa due volte e mette i tre sotto contratto per pubblicare l'album di debutto che ha visto la luce lo scorso 25 gennaio. "Miriam Mellerin", semplice titolo omonimo che dopo poche settimane era già sulla bocca di molti nell'ambiente, e ascoltando i sette brani che lo compongono è facile comprendere il perchè....

Ma torniamo a quella stanza buia e a quelle stranianti sensazioni, l'acida chitarra di Daniele Serani introduce il baluginìo dell'enorme ragno per qualche secondo, poi il ritmo si abbassa e la stanza torna a farsi tetra, è "Parte di me" la traccia di apertura, in bilico tra il post rock e il noise, in un crescendo continuo che inizialmente attribuisce al pezzo connotati quasi da ballata, per poi sferrare colpi di elttricità e rumore ben piazzati, con le sferzate di Serani sul tempo violentemente battuto da Pietro Borsò e la voce graffiante di Diego Ruschena; come se non bastasse ad impreziosire il brano arriva sul finale il riuscitissimo duetto di Ruschena in collaborazione con Diletta Casanova dei The Casanovas. Una prima traccia a dir poco significativa, che chiarisce da subito l'orientamento musicale dell'intero disco: quello che i Miriam Mellerin vogliono creare è un caos rumoroso in cui le sensazioni, le paranoie, la rabbia e gli istinti si incontrano e si scontrano, un plumbeo habitat, quello perfetto di una scricchiolante e inquietante stanza buia, in cui il trio toscano fa convivere pezzi nervosi e urlati, attimi di delirio paranoico e un sound che saccheggia quel che di migliore è stato creato dalla scena alternativa italiana e lo mescola con ispirazioni internazionali, in particolar modo con il rock spinto, quasi hardcore, tipico dell'underground statunitense. I tre pisani interpretano il rock in maniera molto personale, anche se i riferimenti e le similitudini con altre band italiane ci sono, l'aura di Verdena e Marlene Kuntz si nota nel sound e i testi a volte cantati o urlati e altre volte narrati ricordano non poco il teatro degli orrori, soprattutto nella seconda traccia, "Made in Italy", cadenzato rock rabbioso che con poco velate metafore spara critiche a raffica a questa nostra "povera penosa penisola", a quest'Italia in cui "non c'è nessuno che ti salverà da meccanismi di sottomissione delle coscienze", e come non ritrovarsi nella voce roca e nervosa di Ruschena che urla "Scappa! Via di qua!". Ma è dal terzo brano che i Miriam Mellerin cominciano a far pesare il loro talento, le splendide linee di basso di "Made in Italy" sfumano negli ultimi secondi e da qui in avanti non ci sarà un attimo di respiro, il buio diventa oscurità, la stanza chiusa si fa improvvisamente piccola e claustrofobica, il delirio comincia, e ha tutte le sembianze di una colonia di "Insetti". "Insetti", questo il titolo del brano forse più interessante dell'album, una paranoica immedesimazione negli istinti e nelle ossessioni di un'insetto - che poi sono davvero così diverse da quelle un essere umano? - suonata a ritmi forsennati con i bpm a numeri altissimi e da ascoltare a decibel da sordità, una bomba.

Siamo al giro di boa e "Trust", la quarta traccia è anche la prima in cui la band accantona l'italiano a favore dell'inglese, dimostrando di saperci fare anche con l'idioma d'albione; in "Trust" l'espressione post-rock prende forma nel migliore dei modi e il risultato è davvero splendido. Sullo sfumare finale di "Trust" il ritmo sembra abbassarsi, e anche le prime note della successiva "Ostrakon" sembrano annunciare un attimo di respiro, ma non è così, e quando la voce di Ruschena torna alla lingua italiana e scandisce le parole con fare acido ci si rende conto che il rallentamento è soltanto l'anticamera di nuove scariche di nervosismo.... Sono parole pesanti e critiche rabbiose quelle rovesciate sul sound schizofrenico del brano dai Nostri che chiariscono che saranno pure giovani ma certo non hanno paura a dire "Siamo stanchi del potere, non c'è rispetto per la candia ignoranza, vale la pena tradire chi si fida di te!", e fanculo i timori reverenziali! Il cantato inglese è lo sposalizio perfetto per "B.H.O.O.Q.", distorta e tirata, con incursioni melodiche spagnoleggianti, una parentesi quasi da soundtrack Tarantiniana e un finale che definire delirante e schizofrenico è riduttivo.

Nel finale si torna nuovamente all'italiano, e che italiano! Per concludere l'album Diego, Daniele e Pietro hanno tenuto da parte una vera e propria chicca: "Stilnovo" è un tributo versione hardcore-punk al più celebre sonetto di Cecco Angiolieri, "S'i' fosse foco, ardere' il mondo", tra i pilastri della letteratura comico-realista, un dissacrante affronto alle convenzioni stilistiche del "dolce stil novo", che faceva della dolcezza e della delicatezza dei versi uno dei suoi cardini. Uno scritto essenziale per la letteratura italica che già l'immenso Fabrizio De Andrè aveva musicato in chiave moderna nel 1968 e che torna sottoforma di un poderoso rock da pogo che si conclude con un vero e proprio delirio strumentale, una chiave forse non apparentemente consona, eppure il risultato rende giustizia al coraggio dei Miriam Mellerin, nonchè ovviamente al grande Cecco che ha scritto un pezzo hardcore con 700 anni di anticipo sui tempi, alla faccia del precursore!

La sintesi dell'album è tutta qui, in quest'ultimo pezzo, nel coraggio di portare in un debut album un sonetto di fine tredicesimo secolo rivisitato in chiave punk, nella passione e nel talento che trasudano da ogni singolo secondo delle sette tracce, nella loro capacità di rovesciare nella musica le nevrosi, i deliri, la rabbia e le sensazioni con la varietà stilistica giusta, senza restare ancorati ad un solo genere preciso, ma soprattutto nell'enorme energia di questi tre ragazzi, energia che loro stessi non risparmiano e che scaricano a suon di watt e ritmi alti in un esordio davvero coi fiocchi. Un solo consiglio, avanti così!

Voto: 7,5

Tracklist:

1. Parte di me (Feat. Lady Casanova)
2. Made in Italy
3. Insetti
4. Trust
5. Ostrakon
6. B.H.O.O.Q.
7. Stilnovo





lunedì 11 giugno 2012

Ciao Enrico....


Ciao a tutti!

Per l'ennesima volta ho lasciato passare un'era geologica tra un post e l'altro, scusatemi.... Prima di stasera un nuovo post con la recensione di un album parecchio interessante, ma prima c'è una cosa da fare, una persona da ricordare che con la musica non c'entra niente ma poco importa....

L'11 giugno del 1984 a Padova moriva Enrico Berlinguer, più che un politico un Uomo con la U maiuscola, una brava persona prima ancora di diventare un personaggio. A prescindere dall'orientamento politico Enrico è uno dei simboli di una politica ancora degna di essere chiamata tale, l'immagine di persone che nella politica ci credevano e che davvero rappresentavano i cittadini e ne difendevano le ragioni. L'11 giugno di 28 anni fa un ictus l'ha colpito mentre stava sul palco a Padova per un comizio, e nonostante la folla preoccupata gli urlasse di fermarsi e farsi visitare Berlinguer è rimasto sul palco per finire il suo discorso, per poi entrare in coma poco dopo.

Questo è quello che resta, un gesto, quello di resistere per le proprie idee e per la propria gente e datemi pure del comunista se pensate che questa sia l'immagine del comunismo, ma badate bene, quest'uomo merita di essere ricordato e celebrato non perchè era comunista, e certo non perchè non abbia mai sbagliato, non era un extraterrestre e tantomeno un Dio in terra, ma era un buon politico, una persona rispettata dagli avversari tanto che tra lo stupore di un'enorme folla di bandiere rosse persino Almirante, l'avversario per definizione, ha voluto rendergli omaggio ai funerali, e ricordare un'immagine come questa pensando alla scena politica dei nostri giorni mette davvero tristezza.... Mancano tante cose alla nostra politica, mancano ideali forti e gente ancor più forte che li rappresenti, mancano obiettività e senso civico, manca l'impegno della gente comune, perchè se si è passati da Almirante e Berlinguer ad Alfano e Bersani qualche colpa signori miei ce la dobbiamo prendere tutti, ma soprattutto manca il rispetto, il rispetto degli avversari (avversari, non "nemici"), il rispetto della gente, quella che oggi nessuno ascolta veramente e nessuno rispetta veramente....

Questo è soltanto un ricordo, un saluto a un uomo che il rispetto se l'è guadagnato e meritato, ma spero vivamente che i nostri politicanti guardando la foto di Enrico si vergognino, si sentano piccoli e abbassino lo sguardo, Berlinguer è morto 28 anni fa, ma con questi buffoni in parlamento continua a morire ogni giorno....

Ciao Enrico....