lunedì 18 giugno 2012

Rabbioso Stilnovo


E' notte fonda, e nella stanza l'espressione "buio pesto" sembra essere un eufemismo, quando da un angolo si scorge una luce dai colori strani, uno squarcio nell'oscurità in mezzo al quale le zampe di un enorme ragno si muovono, poi un cd che comincia a girare e una chitarra acida e distorta ad aprire le danze. E' così - brancolando nel buio e con la sensazione che qualcosa lì in mezzo si stia muovendo - che si entra nel mondo dei Miriam Mellerin, power trio pisano formato da Diego Ruschena, Daniele Serani e Pietro Borsò che promette fuoco e fiamme....

Sono molto giovani i tre toscani, classi 1988, 1989 e 1993, come giovane è la loro band, ma l'età conta davvero poco quando ci sono talento e passione, tant'è che dal 2010, anno di nascita del gruppo, i Miriam Mellerin sono letteralmente esplosi, in un battito di ciglia si sono ritrovati appena ventenni a condividere il palco con Gazebo Penguins, Ovo, Titor e persino Giorgio Canali, e vengono notati quasi immediatamente da Edoardo Magoni, produttore già di un'altra ottima band toscana del circuito Alternative rock italiano, i Kobayashi. Magoni non ci pensa due volte e mette i tre sotto contratto per pubblicare l'album di debutto che ha visto la luce lo scorso 25 gennaio. "Miriam Mellerin", semplice titolo omonimo che dopo poche settimane era già sulla bocca di molti nell'ambiente, e ascoltando i sette brani che lo compongono è facile comprendere il perchè....

Ma torniamo a quella stanza buia e a quelle stranianti sensazioni, l'acida chitarra di Daniele Serani introduce il baluginìo dell'enorme ragno per qualche secondo, poi il ritmo si abbassa e la stanza torna a farsi tetra, è "Parte di me" la traccia di apertura, in bilico tra il post rock e il noise, in un crescendo continuo che inizialmente attribuisce al pezzo connotati quasi da ballata, per poi sferrare colpi di elttricità e rumore ben piazzati, con le sferzate di Serani sul tempo violentemente battuto da Pietro Borsò e la voce graffiante di Diego Ruschena; come se non bastasse ad impreziosire il brano arriva sul finale il riuscitissimo duetto di Ruschena in collaborazione con Diletta Casanova dei The Casanovas. Una prima traccia a dir poco significativa, che chiarisce da subito l'orientamento musicale dell'intero disco: quello che i Miriam Mellerin vogliono creare è un caos rumoroso in cui le sensazioni, le paranoie, la rabbia e gli istinti si incontrano e si scontrano, un plumbeo habitat, quello perfetto di una scricchiolante e inquietante stanza buia, in cui il trio toscano fa convivere pezzi nervosi e urlati, attimi di delirio paranoico e un sound che saccheggia quel che di migliore è stato creato dalla scena alternativa italiana e lo mescola con ispirazioni internazionali, in particolar modo con il rock spinto, quasi hardcore, tipico dell'underground statunitense. I tre pisani interpretano il rock in maniera molto personale, anche se i riferimenti e le similitudini con altre band italiane ci sono, l'aura di Verdena e Marlene Kuntz si nota nel sound e i testi a volte cantati o urlati e altre volte narrati ricordano non poco il teatro degli orrori, soprattutto nella seconda traccia, "Made in Italy", cadenzato rock rabbioso che con poco velate metafore spara critiche a raffica a questa nostra "povera penosa penisola", a quest'Italia in cui "non c'è nessuno che ti salverà da meccanismi di sottomissione delle coscienze", e come non ritrovarsi nella voce roca e nervosa di Ruschena che urla "Scappa! Via di qua!". Ma è dal terzo brano che i Miriam Mellerin cominciano a far pesare il loro talento, le splendide linee di basso di "Made in Italy" sfumano negli ultimi secondi e da qui in avanti non ci sarà un attimo di respiro, il buio diventa oscurità, la stanza chiusa si fa improvvisamente piccola e claustrofobica, il delirio comincia, e ha tutte le sembianze di una colonia di "Insetti". "Insetti", questo il titolo del brano forse più interessante dell'album, una paranoica immedesimazione negli istinti e nelle ossessioni di un'insetto - che poi sono davvero così diverse da quelle un essere umano? - suonata a ritmi forsennati con i bpm a numeri altissimi e da ascoltare a decibel da sordità, una bomba.

Siamo al giro di boa e "Trust", la quarta traccia è anche la prima in cui la band accantona l'italiano a favore dell'inglese, dimostrando di saperci fare anche con l'idioma d'albione; in "Trust" l'espressione post-rock prende forma nel migliore dei modi e il risultato è davvero splendido. Sullo sfumare finale di "Trust" il ritmo sembra abbassarsi, e anche le prime note della successiva "Ostrakon" sembrano annunciare un attimo di respiro, ma non è così, e quando la voce di Ruschena torna alla lingua italiana e scandisce le parole con fare acido ci si rende conto che il rallentamento è soltanto l'anticamera di nuove scariche di nervosismo.... Sono parole pesanti e critiche rabbiose quelle rovesciate sul sound schizofrenico del brano dai Nostri che chiariscono che saranno pure giovani ma certo non hanno paura a dire "Siamo stanchi del potere, non c'è rispetto per la candia ignoranza, vale la pena tradire chi si fida di te!", e fanculo i timori reverenziali! Il cantato inglese è lo sposalizio perfetto per "B.H.O.O.Q.", distorta e tirata, con incursioni melodiche spagnoleggianti, una parentesi quasi da soundtrack Tarantiniana e un finale che definire delirante e schizofrenico è riduttivo.

Nel finale si torna nuovamente all'italiano, e che italiano! Per concludere l'album Diego, Daniele e Pietro hanno tenuto da parte una vera e propria chicca: "Stilnovo" è un tributo versione hardcore-punk al più celebre sonetto di Cecco Angiolieri, "S'i' fosse foco, ardere' il mondo", tra i pilastri della letteratura comico-realista, un dissacrante affronto alle convenzioni stilistiche del "dolce stil novo", che faceva della dolcezza e della delicatezza dei versi uno dei suoi cardini. Uno scritto essenziale per la letteratura italica che già l'immenso Fabrizio De Andrè aveva musicato in chiave moderna nel 1968 e che torna sottoforma di un poderoso rock da pogo che si conclude con un vero e proprio delirio strumentale, una chiave forse non apparentemente consona, eppure il risultato rende giustizia al coraggio dei Miriam Mellerin, nonchè ovviamente al grande Cecco che ha scritto un pezzo hardcore con 700 anni di anticipo sui tempi, alla faccia del precursore!

La sintesi dell'album è tutta qui, in quest'ultimo pezzo, nel coraggio di portare in un debut album un sonetto di fine tredicesimo secolo rivisitato in chiave punk, nella passione e nel talento che trasudano da ogni singolo secondo delle sette tracce, nella loro capacità di rovesciare nella musica le nevrosi, i deliri, la rabbia e le sensazioni con la varietà stilistica giusta, senza restare ancorati ad un solo genere preciso, ma soprattutto nell'enorme energia di questi tre ragazzi, energia che loro stessi non risparmiano e che scaricano a suon di watt e ritmi alti in un esordio davvero coi fiocchi. Un solo consiglio, avanti così!

Voto: 7,5

Tracklist:

1. Parte di me (Feat. Lady Casanova)
2. Made in Italy
3. Insetti
4. Trust
5. Ostrakon
6. B.H.O.O.Q.
7. Stilnovo





22 commenti:

Blackswan ha detto...

Gran bella recensione,bro.Tra l'altro,l'ultimo pezzo e la citazione di Angiolieri mi fa tornare alla mente il grande De Andrè.Approfondirò.
PS : ho il pc alla frutta,non riesco molto a connettermi in questi giorni.

Unknown ha detto...

Grazie x la segnalazione!

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