venerdì 22 marzo 2013

Dante Francani - Tuta Blu (o Ballata dell'operaio)



Un pianoforte, una voce e le immagini che scorrono, qualche foto ricordo e qualcun'altra presa da internet, un video semplice, come se ne trovano a centinaia su Youtube, ma seguite il consiglio e trovate tre minuti e mezzo per ascoltare con attenzione le parole e guardare questo video, realizzato nei ritagli di tempo di chi si alza presto la mattina e va a letto tardi la sera, riuscendo ad essere lavoratore, marito e padre, trovando comunque il tempo di coltivare le proprie passioni. Un grande musicista qualche decennio fa disse che sono le storie a fare la musica, e quella di Dante Francani è una storia che merita di essere ascoltata...

Dante è un rosetano di trentotto anni, un uomo come tanti, con una moglie, una figlia ed un lavoro che lo porta ad indossare la tuta blu, quella tuta blu della quale il nostro paese non può fare a meno, la stessa tuta blu a cui i nostri politici fingono di dare importanza, e della quale paventano di comprendere le difficoltà senza nemmeno averla mai indossata. E' difficile la vita per chi indossa quella tuta, e negli ultimi anni lo è sempre di più, con un mercato del lavoro votato alla minor assunzione di responsabilità possibile, stabilimenti che chiudono per trasferirsi all'estero ed una politica che ogni anno appare sempre più distante dalla realtà, da una realtà fatta di sacrifici che non finiscono mai, di briciole di risparmi messi da parte mentre le notizie sui giornali parlano di stipendi stratosferici, posti di lavoro regalati e milioni di euro spesi per l'acquisto di un calciatore, ed allora come si fa a non ribollire di rabbia? Come si fa a stare zitti? Non si può tacere di fronte a questo scempio, è così che Dante decide di sedersi di fronte al pianoforte e tradurre la sua rabbia in musica, compone una base leggera e semplice, e su questa base cadenza parole che raccontano della fatica che lacera di giorno in giorno, ma soprattutto di quanto tutta questa fatica non venga ripagata dal "verro" che ingrassa sulle spalle dei lavoratori, di quanto "quel rapporo salario-lavoro ti leva il rispetto, ti toglie decoro" e di quanto ci si senta impotenti nel vedere che "aumenta tutto tranne il tuo stipendio" e che "un calcio a un pallone vale un milione mentre il tuo sudore non vale più niente". Sono parole nervose, frutto di un risentimento che è impossibile non giustificare, parole disilluse di chi è fiero di indossare una tuta blu e di sporcarsi le mani sapendo di fare il proprio dovere civico e morale, ma è costretto a sopportare ingiustizie ogni giorno più pesanti, a vedere il divario economico e sociale allargarsi, a sentirsi addosso il menefreghismo di una classe politica "di destra o sinistra ma coi soldi in tasca", che si riempie la bocca di belle parole, di solidarietà verso i lavoratori e di promesse che sono sempre le stesse da decenni, promesse dalla "priorità assoluta" in campagna elettorale e che poi magicamente passano in secondo piano, eclissate da processi da evitare, opere inutili da realizzare soltanto per potersene vantare alle prossime elezioni, nebulose finanziarie delle quali è tutto poco chiaro tranne il fatto che a pagarle saranno sempre i soliti, parenti, amici, mafiosi, nani e ballerine da piazzare a piacimento nelle stanze del potere, il tutto - quasi fosse l'ennesima beffa - fatto alla luce del sole mentre si inneggia all'equità e alla meritocrazia...

E' evidente, evidentissima, la sensazione che la politica sia qualcosa di irraggiungibile, una sorta di mondo a sè che decide le sorti del mondo reale, ed è una distanza che bisogna necessariamente appianare, perchè se la "casta" riesce a fare ciò che fa senza finire alla ghigliottina, la colpa, in fondo, è da cercare dentro di noi, è da cercare nell'indifferenza più grave, quella fatta dei "tanto sono tutti uguali" e dei "non cambierà mai niente", l'indifferenza di chi per uno stipendio da fame arriva a casa ogni sera sfinito, eppure parla del campionato di calcio, delle veline e del grande fratello, il menefreghismo di chi sa tutto delle scappatelle di Balotelli ma non è in grado di leggere la propria busta paga, quella stessa indifferenza di cui Gramsci quasi 100 anni fa diceva "è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria", e a dire il vero sembra non essere cambiata una virgola, perchè ancora oggi gli indifferenti "piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch'io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?". E' proprio a queste persone che Dante dedica la sua "Tuta blu" o "Ballata dell'operaio", ed è sempre a loro che dedica lo sfogo forse più sentito, incitando ad uscire da questa assuefazione della mente, nella speranza che qualche coscienza si svegli dal torpore e che qualcuno spenga la televisione per trasmettere ai propri figli un po' di cultuta, di memoria storica, di rispetto per i lavoratori e il lavoro, di passione per quella libertà che - Gaber docet - è partecipazione.



Articolo pubblicato su Elfa Promotions

lunedì 18 marzo 2013

Nevruz - La casa e gli spiriti perduti


Ricevo ed interamente pubblico la recensione, a cura di Antonino Giorgianni, de "La casa degli spiriti perduti", interessantissimo album di debutto di Nevruz:



Secondo disco per Nevruz Joku che, dopo i fasti della quarta edizione di X-Factor, si affaccia nuovamente alla ribalta con quella che è a tutti gli effetti la sua opera prima: La casa e gli spiriti perduti.

Il disco è pubblicato dalla Hukapan Dischi, l'etichetta di Elio e le storie tese. Produzione di tutto rispetto, quindi, per un lavoro che si rivela interessante ed insolito.

Il cantautore modenese attinge a piene mani alle atmosfere della dark wave italiana (Diaframma e Litfiba su tutti), coniugandole con suoni scabri, precisi ed efficaci. Echi di industrial e possenti riff di puro rock condiscono il tutto. Ne risulta un sound pieno, complesso e robusto che non può non appagare l'orecchio di chi ascolta

I testi arrivano diretti al bersaglio, precisi come un colpo di bisturi. Parlano di solitudine, follia, smarrimento. Appare evidente l'ossessiva, insistita ricerca del senso della vita attraverso l'amore: sentimento che Nevruz rappresenta come bussola, guida attraverso le pulsioni e le devianze dell'animo umano.
L'interpretazione dei brani è spesso violenta, sempre passionale. Notevole la versatilità della voce, velata di echi di Modugno, Pelù, Stratos, eppure così personale ed inconfondibile.

Ad assistere Nevruz nella sua fatica troviamo: Batteria : Matteo Rosestolato - Basso: Alessandro Giliberti - Chitarra : Elia Garutti – Pianoforte & Sinth: Filippo Lui e Giulio Saltini - Viloncello : Pietro Orlandi), ensemble di giovani maestri rock della bassa modenese. Ciliegina sulla torta la collaborazione di Roberto Gualdi, Faso e Cesareo, rispettivamente batteria, basso e chitarre nei brani Magia e Rifletto.
Il risultato finale è un disco accattivante, energico, aspro, dotato di un appeal non comune, adatto a ben figurare nel panorama musicale italiano e non solo.


a cura di Antonino Giorgianni
REDAZIONE ELFA Promotions
www.elfapromotions.com

giovedì 14 marzo 2013

North - Differences




Fine Agosto. Mattina presto. Il sole resta ancora basso quasi non volesse disturbare, ma tu sei già sveglio, bermuda, infradito e Ray-Ban rossi, valigie in mano riempi il baule della macchina con gli occhi di chi fino al giorno prima se ne andava a fare colazione in spiaggia ed ora invece, riconsegnate controvoglia le chiavi della stanza, la spiaggia la vedrà scorrere dal finestrino. Ti siedi in macchina e lei, sul sedile accanto, ti guarda con aria malinconica e dice: "Anche quest'anno sono andate".

Tu lo sai che le vacanze ormai sono finite, ma nella tua mente pensi "Finchè non vedo il cancello di casa non mollo", sperando forse di trovare una ventiquattr'ore piena di soldi nel bagno dell'autogrill, o qualcosa di ancora più assurdo che ti trascini il più lontano possibile dal tuo triste ufficio che si avvicina sempre di più, niente radio FM quindi, per non incorrere in notiziari sul traffico, previsioni meteo che parlano di piogge in arrivo, niente digressioni calcistiche precampionato, niente che ti ricordi che siamo a fine Agosto, niente che non riporti - almeno con il pensiero - a piedi nudi sulla sabbia. E allora infili un cd nell'autoradio, lo scegli con cura, non sia mai che capitasse di far partire un disco deprimente o - peggio ancora - quella vecchia compilation di tormentoni estivi che avevi masterizzato con disgusto per tua sorella e che puntualmente ti dimentichi di levare dal portaoggetti, no, hai un bisogno ben preciso, quello di ascoltare qualcosa che odori di salsedine, qualcosa che ti faccia sentire i granelli di sabbia tra le dita dei piedi, qualcosa che si sposi con i 100 all'ora che tieni in autostrada, con i finestrini abbassati e il vento che ti smuove i capelli. E' in momenti come questo che un album come "Differences" suona tremendamente giusto...

Di mare negli specchietti retrovisori e di salsedine ne sanno sicuramente moltissimo Pierfrancesco Carletti , Giuseppe Gaggiotti, Andrea Monachesi e Gabriele Tomasetti, i componenti del quartetto dei North, band nata nelle Marche, lungo la east coast italiana nello splendido scenario del parco del Conero. I quattro, come sempre più spesso succede nella musica e in modo particolare nel nostro paese, seguono il filone del DIY, autoproducendo orgogliosamente il loro EP di debutto, "Differences", disco di 7 tracce pubblicato lo scorso 20 dicembre e per il quale al missaggio si sono avvalsi della collaborazione di Luca Gobbi dei Karibean, e il risultato è un album che pesca a piene mani dagli anni '90. La band torna indietro nel tempo di 20 anni o poco più, agli albori dell'indie, quando i plasticosi anni '80 volgevano ormai al termine e la apparente spensieratezza dei loro suoni sintetici veniva oscurata da un'ombra di malinconia, lo specchio di una generazione incastrata dall'anagrafe nel limbo del "dopo": il '68, per chi già c'era, era passato impercettibilmente tra le sbarre di una culla, e gli anni '70 vissuti correndo dietro al pallone certo non avevano lo stesso sapore... Una generazione, quella degli adolescenti e post-adolescenti degli ultimi anni '80, vissuta con il mito del fratello maggiore che ricordava i moti sessantottini e l'esplosione del punk, e quindi indissolubilmente legata ad una nostalgia di epoche non vissute.

Era la generazione divisa tra paninari e dark, combattuta tra la voglia di godersi a pieno ogni giorno dell'adolescenza e la consapevolezza - vissuta in modo estremamente malinconico - dell'età adulta sempre più prossima, un dualismo che nella musica dà il via al grunge, alla dark wave, all'indie e a tutta quell'ondata di sonorità che mescolano generi diversi per trovare una propria dimensione, dimensione che si concretizza con band storiche come i Weezer o i Dinosaur Jr della prima metamorfosi, ed è proprio lì che i North puntano il dito, sposando l'inglese per i testi e costruendo le musiche su linee di basso incalzanti e chitarre ritmate. Quello che ne viene fuori sono sette brani che parlano del presente guardando al passato, brani da specchietto retrovisore, con le note e le parole che scorrono trasformandosi in ricordi, con gli arrangiamenti che sanno di divertimento e le liriche che patinano il tutto come la polvere sulle vecchie polaroid, istantanee di un'adolescenza che fa sempre piacere riscoprire, in una noiosa domenica di settembre quanto in macchina durante un viaggio di ritorno, tra i "Ti ricordi che serate quell'anno?" e i "Ma quante ne abbiamo passate?". Le si potrebbe chiamare "memorie spensierate", anche se forse potrebbe assomigliare ad un ossimoro, eppure basta ascoltare pezzi come la opening track "New life", o le splendide "No way out" e "Free as you" perchè nella mente riaffiorino immagini di estati passate, scappi una risata e allo stesso tempo un velo di amarezza si faccia sentire, non troppo, quel tanto che basta per dare un sapore agrodolce alle emozioni e far posare lo sguardo sul panorama che passa dal finestrino, un po' tristi forse, ma in qualche modo soddisfatti.

E' proprio così che ci si sente ascoltando "Differences", soddisfatti e tristi allo stesso tempo, con mille pensieri e ricordi nella testa, ma contemporaneamente con la sensazione contraria, quella di una sana, sanissima scanzonatezza. Musicalmente i North scelgono la propria dimensione e non escono moltissimo dal seminato, prendono la ricetta scritta dagli Weezer e per ora scelgono di non aggiungere nulla di particolare o personale, forse l'unica nota leggermente negativa, ma tant'è, per la personalizzazione del suono c'è tutto il tempo, si vedrà con i prossimi lavori, intanto "Differences" scorre piacevolmente, senza deviazioni o cadute, e nel frattempo l'enorme cartello verde in alto ti dice che la prossima uscita è la tua, metti la freccia, raggiungi il casello e digerisci il fatto che le vacanze sono finite sul serio, ma sai benissimo che al prossimo viaggio, magari sulle stesse note, tornerai a dire "Te la ricordi quella volta?", e sorridi compiaciuto...

Voto: 7,5

Tracklist

1. New Life
2. Differences
3. Waste Your Time
4. A Song For Your Boyfriend
5. No Way Out
6. Free As You
7. Another Garbage


Recensione pubblicata su Oubliette Magazine

lunedì 4 marzo 2013

2 A.M. - Parallel worlds


Mondi paralleli, universi identici al nostro tranne per piccoli particolari capaci di cambiare radicalmente l’esistenza, chi non ha mai sognato che fossero possibili? Chi non ha mai desiderato vivere in un mondo in cui non esistesse questo o quell’aspetto tanto odiato e tanto radicato nel nostro mondo reale da apparire ineluttabile?

E se questi mondi paralleli non fossero altro che le diverse realtà in cui ognuno di noi realmente vive? Se ogni nostra singola azione determinasse gli stati della nostra mente e trasformasse il quotidiano in un miscuglio di mondi paralleli che si incrociano tra di loro e che compongono l’intera realtà? È questa l’idea di mondi paralleli che si sono fatti i 2 A.M., quella che la nostra realtà di tutti i giorni sia l’intreccio dei nostri stessi comportamenti, che – per quanto a volte possano risultare anomali o fuori da ogni logica definita – fanno parte di noi stessi e regalano colore all’esistenza.

È proprio su questa ultima affermazione che ci si rende conto, compiendo un coraggioso ma doveroso esame di coscienza, che negli ultimi anni i mondi paralleli così intesi diminuiscono a vista d’occhio, a favore di una società ed una “civiltà” che ci vuole omologati, che relega in un angolo il “diverso”, il “malato”, sacrificando una moltitudine di comportamenti considerati strani all’altare della normalità, ad una sorta di status dettato da regole superficiali, modaiole e che danno troppa importanza all’immagine a troppo poca ai contenuti. È uno scenario grigio quello prospettato da un’analisi in questi termini, quando potrebbe invece rivelarsi un’apoteosi di colori sgargianti e sfumature fascinose, e allora – nella speranza che qualche coscienza cominci a svegliarsi – i 2 A.M. provano ad aprirci uno spiraglio da cui intravedere la bellezza dello scenario possibile e nel contempo guardare un po’ dentro noi stessi e recitare un bel mea culpa. Ci provano e ci riescono, traducendo il tutto in musica tra echi di dream pop e groove in salsa british.

Il progetto 2 A.M. vede la luce a Senigallia, in quelle Marche diventate molto più che fertili per quello che riguarda i talenti della musica indipendente del nostro paese, prende il nome dalla coincidenza di iniziali dei suoi componenti (Andrea Maraschi ed Andrea Marcellini) e nasce nel 2010 con bene in mente un modello di ispirazione che affonda le proprie radici nella musica di stampo britannico, in particolare nel brit-pop e nel pop-rock inglese tipico degli anni ’90. È uno stampo perennemente in bilico tra il sognante e il malinconico, con i riflessi chiari e nitidi delle due influenze stilistiche più evidenti: i Verve di “Urban Hymns” e gli Oasis di “(What’s the story) Morning glory?”, e che dopo solo un anno porta la band a incidere “The end, The start”, album d’esordio del 2011 che conquista fin da subito pubblico e critica per le sue atmosfere intense ed il suo suono liquido e avvolgente.

A poco più di un anno di distanza da “The end, the start” Madaschi e Marcellini hanno pubblicato lo scorso ottobre il suo successore, un EP di sei brani sotto il titolo di “Parallel worlds“, mondi paralleli appunto, che prosegue la strada intrapresa nel 2011 con in più il valore aggiunto di una crescita compositiva ed una maturazione artistica lampanti. Si infila il disco nello stereo, si preme play e parte “Outsider”, traccia di apertura morbida che accarezza le orecchie dell’ascoltatore con un sound acustico alla Buckley al quale echi e riverberi lontani regalano un’aura sognante, invogliando a sedersi, ad accomodarsi sul divano per ascoltare meglio, ed è allora che arriva “Axl’s song”, singolo di lancio dell’EP che sposta l’asticella verso un sound più complesso e strutturato; qui l’attacco è rivelatore: ascoltando il brano ignari di tutto si penserebbe senza battere ciglio ad un singolo degli Oasis, e non è certo un dato di demerito…

È però al giro di boa che si trova il punto più alto dell’intero album: “Live from a parallel world” è il capolavoro della band, poco meno di 5 minuti introdotti dall’accoppiata acustica-voce, ma che ben presto alzano il ritmo e iniettano elettricità nell’ambiente quel tanto che basta per prenderti la mano e portarti in una dimensione eterea, una realtà immaginifica e sognante in cui tutto sta al posto giusto, dalla melodia ai cori riecheggianti, fino al cantato – in un inglese impeccabile e nel nostro paese non è certo da tutti -; tutti gli elementi si amalgamano alla perfezione e il risultato è un brano semplicemente splendido. “Live from a parallel world” issa l’ascolto ad altitudini vertiginose, e per restare in quota arriva lo sfogo rock di “The untold words”, pronto a regalare un’altra sfaccettatura dei 2 A.M., quella più energica ed aggressiva, una breve parentesi che mantiene il taglio elettrico fino alla successiva “Just for one day”, nella quale l’indole alternative-rock sposa una melodia ed un cantato più morbidi, romantici e intimisti.

Si chiude con un po’ di dolcezza, proprio come si era cominciato, “The magic can’t work” è una vellutata carezza, un rilassante pop raffinato che ti culla e ti fa sentire al sicuro, riposato dopo un viaggio intenso, un viaggio verso mondi paralleli che paiono tremendamente distanti ma in fondo sono qui, ad un passo da questo divano su cui adesso siamo adagiati mentre il suono di un carillon ci porta alla fine di “Parallel worlds”. La sensazione è rilassante ed appagante, e chi ce lo fa fare di alzarci? Telecomando dello stereo, repeat, play, e via! si riparte!…

Voto: 7,5

Tracklist


1. Outsider
2. Axl’s song
3. Live from a parallel world
4. The untold words
5. Just for one day
6. The magic can’t work





Recensione pubblicata su Oubliette Magazine