lunedì 26 agosto 2013

Da wildwood con furore


A leggere la biografia di Dana Fuchs sembra di trovarsi di fronte all'ennesimo film pseudo-favola-romantico-musicale stile "Le ragazze del coyote ugly", ma per questa volta le logiche da botteghino facile non c'entrano, è tutto vero... Eppure gli elementi ci sono tutti: c'è una famiglia numerosa che fa tanto americani conservatori (Dana è la più giovane di ben sei figli), c'è una passione per la musica che nasce prestissimo e pare diventare l'unica ragione di vita, tanto che Dana - poco più che adolescente - annuncia alla famiglia "vado a New York per cantare il blues". Certo, Dana arriva da Wildwood, che - nonostante il nome molto cinematografico - è una piccola cittadina della Florida e non un villaggio di bovari sperduto nell'Arkansas o nel Montana come il manuale della commediola romantico-musicale insegna, ma per il resto la sua storia assomiglia non poco ad una "favola moderna" se così la vogliamo chiamare, corredato da tragedie che le lasceranno il segno, e dall'immancabile lieto fine con il sogno della musica che si realizza...

La simbiosi tra Dana e la musica comincia prestissimo, anche i suoi fratelli maggiori infatti ci si dedicano e il risultato è che Dana cresce fin da piccola circondata dalla musica; a 12 anni si unisce al First Baptist Gospel Choir, dal quale apprende una forte inclinazione al soul, mentre a 16 anni entra a far parte di una blues band locale. Da qui in avanti il blues e il soul non la abbandoneranno mai più e faranno da fondamenta per una carriera che comincia pochi anni dopo, con l'approdo tra le confusionarie strade di New York, tra le quali - come da copione - Dana non si sente a suo agio, fin quando, a 19 anni, la notizia del suicidio della sorella la sconvolge ma allo stesso tempo la spinge a mettere tutta sè stessa nella musica. Inizia così a girare tra i locali blues di New York partecipando ad alcune sessioni di improvvisazione, ed è proprio in una di queste serate che conosce Jon Diamond, già chitarrista di Joan Osborne e Debbie Davies, insieme al quale fonda la Dana Fuchs Band. La band diventa ben presto famosa nell'ambiente, e nel giro di un anno Dana e i suoi si ritrovano a condividere il palco con John Popper, James Cotton e Taj Mahal. Passano altri due anni caratterizzati da un'intensissimo allenamento vocale, dopo i quali Dana - con la collaborazione di Jon - scrive nuovi brani e torna a calcare la scena. Questa volta i nomi si fanno più grossi, sia quelli dei locali - The Spephen Talk House e BB King's, tanto per dirne un paio - che quelli degli artisti con cui Dana condivide il palco, due su tutti quelli di Marianne Faithful e Etta James. Nel 2003 arriva l'album di debutto, "Lonely for a lifetime", accolto con entusiasmo da pubblico e critica, e dopo il quale Dana viene chiamata per interpretare nientemeno che Janis Joplin nel musical "Love, Janis" e per quella di Sadie per il film "Across the universe" (ve la ricordate la biondona che canta Helter Skelter?...). A "Lonely for a lifetime" seguono "Live in NYC" del 2008 (l'album è difficile da reperire ma l'ascolto vale lo sforzo, provare per credere...), il non entusiasmante "Love to beg" del 2011, ed infine la sua ultima fatica, "Bliss Avenue", pubblicato a luglio di quest'anno.

Una nuova tragedia familiare - la morte del fratello - ha assestato un nuovo colpo basso a Dana, che però risponde con una prova di forza, la sua prova migliore finora, 12 tracce lungo il sentiero del blues e del rock, con contaminazioni soul, country, e persino hard rock, con riffoni seventies che sanno di Zeppelin, attimi country e profonde divagazioni soul, il tutto condito da una passione più che palpabile. Il risultato è un album senza il minimo cedimento, solido, con un Jon Diamond in stato di grazia che - come Joe Bonamassa con Beth Hart - serve ottimi assist elettrici per Dana ,che si destreggia apparentemente senza la minima fatica tra le atmosfere honky tonk di stonesiana memoria di "How Did Things Get This Way", le cavalcanti sgroppate polverose di "Rodents in the Attic", tra i brani migliori del disco, passando addirittura per tracce di pop rock anni '80 ("Long long game" sembra scritta, suonata e cantata dalla premiata ditta Sambora-Bon Jovi) e ritmi tra R&B e gospel. In mezzo c'è tutto, c'è "Daddy's little girl", pezzo che - mi perdonino i fan del boss se pare una bestemmia - ricorda lo Springsteen più allegro, ci sono le ballate come l'elettroacustica "Baby loves the life" - forse il più radio-frendly dei 12 pezzi, che non mi stupirei di trovare presto nella soundtrack di qualche commedia romantica -, l'acustica "Nothin' on my mind" con il suo sapore di far west, e infine "So hard to move", dal sound morbido e carezzevole, ma dalla voce consumata e intensa, sentimentale e vibrante come è giusto che sia un brano scritto sul letto di morte del proprio fratello; un pezzo da ascoltare lontano dai superalcolici. Non manca neppure il rock, quello classico, elettrico e sprezzante, quello di "Keep on walkin'", pezzo senza fronzoli, un po' tamarro forse, ma certamente da ascoltare a volume altissimo; e poi ancora il lato soul di Dana che prende il sopravvento in "Vagabond wind" e sfocia nell'R&B della splendida "Livin' on sunday", con i suoi cori gospel a sostenere la potente voce della Nostra. Sembra di essere tornati indietro di qualche decennio, quando una gran signora di nome Tina Turner scriveva intere pagine di storia, e certo Dana Fuchs non sarà mai LA leonessa, ma di certo sa mordere e - soprattutto - ruggire... Se ne volete la prova basta mettere il cd nello stereo e premere play, se il paragone con la Turner vi sembrava esagerato la traccia di apertura e l'aura di Janis Joplin che le aleggia intorno vi faranno cambiare idea: la title track è un violento ruggito in salsa electric-blues, con chitarra cadenzata, batteria ad incedere costante e qualche breve svisata del buon Diamond, un sound che odora di Led Zeppelin a km di distanza, perfetto per Dana, che tira fuori tutto quello che ha dentro, armata di una voce ruvida come la carta vetrata scava nel profondo, si affaccia sulla voragine, e tra le viscere del suono trova l'anima del blues, la graffia e regala una canzone che vale un album intero.

Voto: 8,5

Tracklist

 1. Bliss Avenue
 2. How Did Things Get This Way
 3. Handful Too many
 4. Livin’ on Sunday
 5. So Hard to Move
 6. Daddy’s Little Girl
 7. Rodents in the Attic
 8. Baby loves the Life
 9. Nothin’ on My Mind
10. Keep on Walkin’
11. Vagabond Wind
12. Long Long Game




6 commenti:

Blackswan ha detto...

Ecco un disco che fa per me. Vado a recuperarlo, a meno che tu non me lo passi quando ci vediamo.
Buona serata, bro.

lozirion ha detto...

@Blackswan: Si si, questo fa per te! Comunque passartelo non è un problema.... ^_-

mr.Hyde ha detto...

Che grinta ragazzi!

Pippicalzelunghe ha detto...

Ciao Mitico!!! Anche mio fratello ha detto che questo disco è fatto per lui, specie l'immagine della copertina...ti pareva.

Pippicalzelunghe ha detto...

Ciao Mitico!!! Anche mio fratello ha detto che questo disco è fatto per lui, specie l'immagine della copertina...ti pareva.

Mika Farron ha detto...

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